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Giustizia redistributiva

Di Gerardo Capaldo

“Chi non lavora non mangi” affermava l’apostolo Paolo. E se qualcuno il lavoro non lo trova, dovrebbe forse morire di fame? Si può indurre una famiglia intera a finire sul lastrico, a chiedere l’elemosina, a disperarsi, a perdere ogni dignità o rubare, rischiando tutta una vita in carcere? Non manca certamente chi, nella sua pigrizia o furbizia, preferisce dormire, oziare, divertirsi e cercarsi un lavoro solo al termine della giornata, fingendosi povero, approfittando del reddito di cittadinanza… Un buon pretesto per chi vuole pensare solo a se stesso, ignorando milioni di fratelli davvero bisognosi di tutto. Nella parabola con cui Gesù definisce il regno dei cieli, “il padrone di casa… uscì all’alba per prendere alla giornata lavoratori per la sua vigna (…) Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna… Quando fu sera… disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi” (Mt 20, 1-16). Arrivati i primi, mormoravano contro il padrone: Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. E’ una grande lezione per coloro che Gesù ritiene invidiosi, con la tipica logica del liberismo. Ma il lavoro non è una merce, fondata solo sul profitto del padrone. E’ soprattutto un compenso adeguato alla dignità della persona umana, alle sue necessità e alle sue capacità. E i furbetti? Devono essere abilitati ad una cittadinanza e ad una civiltà fondata sul lavoro.

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