Per chi lo ha vissuto il terremoto non è così lontano, sono passati 37 anni ma quel momento tragico di quella domenica sera è sempre davanti agli occhi. Uno spartiacque per tutti gli irpini. Quel sisma oltre ai tanti morti e ad una feroce devastazione ha prodotto cambiamenti in tutti i campi. E’ diventato un simbolo di cose che apparentemente con il terremoto c’entravano poco o nulla. A cambiare a causa di quel sommovimento è stata innanzitutto l’Irpinia e poi il Sud e l’Italia.
C’è chi come Paolo Mieli ha scritto che la vera crisi della Prima Repubblica comincia quella sera del 23 novembre. Un sistema politico, che come disse profeticamente oltre dieci anni dopo Mino Martinazzoli, doveva far calare il sipario visto che la recita si era fatta scadente. Il terremoto insomma è stato il momento iniziale di una stagione che ancora stiamo vivendo. Ci culliamo nell’illusione che si possa finalmente dare vita ad una nuova fase che produca effetti migliori di quella che ci siamo lasciati alle spalle. Ma inevitabilmente per ora la situazione non è migliorata è peggiorata. Ci siamo imbattuti in fenomeni effimeri e la politica non ha dato nessuna risposta anzi le voragini provocate da altri terremoti sono il segno di questa nuova decadenza.
Con il sisma del 1980 non crollano solo i palazzi dei vecchi centri storici ma cade anche l’identità di una terra e i luoghi perdono l’anima che li caratterizzava. C’è un senso di non finito che aleggia e si percepisce in Irpinia, lo stesso che c’è in tutta Italia. 37 anni fa c’era la Prima Repubblica. Un sistema imperniato su un partito centrale forte ed ideologico come la Democrazia Cristiana che però dopo gli splendori del dopoguerra aveva iniziato la sua lenta discesa elettorale. Alleati della Dc i partiti laici, all’opposizione il partito comunista e il movimento sociale. Travolto questo sistema si è passati da un voto all’altro inseguendo i consensi ma senza mai tradurre gli annunci elettorali in fatti.
Il referendum del ’91 cancella le preferenze tra il plauso degli elettori che oggi invece le rivogliono. Nel ’93 si passa dal proporzionale al maggioritario e da allora di referendum in referendum, di legge elettorale in legge elettorale si va alla ricerca di una rappresentanza e di una governabilità che appare perduta. La riforma elettorale è cambiata più volte, le alternanze di governo si sono susseguite, sono nati partiti, movimenti dai nomi fantasiosi. C’è stata e c’è una perenne campagna elettorale con il solo risultato di allontanare i cittadini dalle urne come è successo ultimamente in Sicilia e ad Ostia. L’astensione è oggi di gran lunga il primo partito. Ci siamo preoccupati tanto delle forme di governo e poco di governare. E lo scenario futuro presenta molte incognite. Quelle mancanze e quelle non risposte del 1980 pesano ancora. Le accuse contro i ritardi e contro la cattiva politica nascono subito dopo il momento della solidarietà.
Come ha scritto Paolo Mieli “imputata diventò Roma, e non soltanto il Mezzogiorno, la Campania o l’Irpinia. Imputata divenne l’intera classe politica. E’ in quel periodo che nacque la teorizzazione di un governo degli onesti, dei capaci, un governo fatto di personalità che venissero dalla società civile, che si fossero distinte per il proprio merito. Da quel momento il discorso pubblico sembrò aver introiettato un virus che mirava alla salute della politica”. Oggi però la riflessione su quello che è avvenuto e molto diversa dalle speranze. E’ aumentato il trasformismo e sono cresciuti i voltagabbana. C’è stata solo l’illusione della novità. La voragine dal 1980 ad oggi si è allargata e nessuno ancora è riuscito a trovare una soluzione per chiuderla.
di Andrea Covotta edito dal Quotidiano del Sud