In una campagna elettorale dominata da slogan vuoti tocca al Capo dello Stato iniettare fiducia nelle istituzioni e indicare un futuro da costruire insieme come antidoto al populismo, all’antipolitica. Mattarella nel suo messaggio di fine anno ricorda il compleanno dei 70 anni della Costituzione, la “casa comune” e la “cassetta degli attrezzi del nostro Paese”, che ci garantisce tutti quanti. Ma soprattutto il Presidente della Repubblica rilancia il dovere della memoria che impone di capire gli eventi e di preservare la libertà e la pace, per nulla scontati. In questa cornice inserisce il parallelo tra i ragazzi del 1999 che andranno al voto per la prima volta e la generazione in trincea quella dei ragazzi del 1899, chiamati a difendere l’Italia nella prima guerra mondiale.
Non una scelta, un dovere. In prima linea andavano cantando. Da quella Italia del 1918 è passato un secolo. Il voto ai diciottenni è stato introdotto nelle elezioni amministrative del 1975. Era l’Italia che votava a favore del divorzio, che scopriva i diritti e il Parlamento decise, con una svolta che affonda le sue radici nella contestazione studentesca del ‘68, che quell’energia dovesse trovare spazio nelle forme democratiche. Al loro battesimo nei seggi tanti giovani scelsero un partito di opposizione come il PCI di Enrico Berlinguer che raggiunse il massimo storico dei consensi pur senza sorpassare la DC che restava primo partito. Ma quella inaspettata partecipazione fece capire alla politica che quel voto contava e doveva essere intercettato. Libertà è partecipazione cantava proprio in quegli anni Giorgio Gaber. Un binomio che i giovani di oggi devono saper cogliere. E così se cresce la disaffezione nei confronti della politica, c’è però la consapevolezza che non si può abdicare alla vita democratica. Al crollo delle ideologie si è aggiunta la comunicazione virtuale, l’uso dei social network per una generazione che appare talvolta smarrita più che consapevole dei propri diritti. Nel 2018 dunque andranno al voto i così detti millenians.
Un secolo dopo quella generazione che per la libertà ha sacrificato la vita. Da questa spinta in avanti dovrebbero prendere fiducia anche i nostri ragazzi ma anche da quello che sta accadendo in altre parti del mondo. In Iran ad esempio dove come scrive Mattia Feltri “i ragazzi iraniani sono scesi in piazza per chiedere diritti civili, di vestirsi come gli pare, di avere i libri che desiderano, di svincolarsi dalla sharia, la legge di Dio che annienta ogni scelta umana. I ragazzi italiani sono così sfiduciati o disillusi o forse banalmente disinteressati che il 70 per cento dei diciottenni non andrà a votare. I ragazzi iraniani sono stati arrestati a centinaia, ma continuano a manifestare. I ragazzi italiani si lamentano dalle loro stanze da letto, scrivendo su Internet di tutto questo mondo che non va. I ragazzi iraniani salgono sulle barricate perché Internet gli è stato chiuso. I ragazzi italiani ripetono un pigro slogan secondo cui tanto con la politica non si cambia niente. I ragazzi iraniani vogliono un po’ di politica per cambiare qualcosa. I ragazzi italiani non hanno cura della libertà perché non sanno che significhi combattere per conquistarla, la danno per acquisita e ignorano che è il modo migliore per perderla. I ragazzi iraniani vanno in prigione perché l’hanno persa e combattono per riconquistarla”. E dunque come ricorda Mattarella non possiamo vivere nella trappola di un eterno presente, quasi in una sospensione del tempo, che ignora il passato e oscura l’avvenire, così deformando il rapporto con la realtà. La democrazia vive di impegno nel presente, ma si alimenta di memoria e di visione del futuro che deve essere migliore per i ragazzi italiani e per quelli iraniani.
di Andrea Covotta edito dal Quotidiano del Sud