La crescente pandemia degli ultimi giorni , con le sue più immediate conseguenze , colpisce non soltanto le singole persone, ma tutti i momenti ed i luoghi delle consuete aggregazioni relazionali . Nonostante le ricorrenti sollecitazioni precauzionale , già note, sembra che il senso di responsabilità, personale e collettiva, che aveva caratterizzato il comportamento di noi italiani nella prima fase pandemica, attualmente appare alquanto rallentato. In particolare è il diffondersi della pandemia nelle fasce d’età giovanili che chiama in causa i giovani e gli adulti non anziani. Si comprendono facilmente le ragioni di tale preoccupante fenomeno. Le persone anziane , per la loro nota vulnerabilità, continuano ad essere più attente, in attesa del vaccino, unico antitodo scientificamente valido contro la pandemia . Un mio amico anziano, nel corso della ultima e consueta telefonata quotidiana, mi confidava che , per lui, quest’anno, la quarantena anticovid coincide con la quaresima liturgica cristiana : tempo forte di riflessione e di preghiera per i credenti , ma comunque di riflessione anche per i non credenti. Quindi quaresima pandemica e non periodo di libera opzione comportamentale , come è stato per molti e per tanti anni passati , nel percorso esistenziale individuale e collettivo. Tanti , frattanto, sono i momenti ed i motivi della riflessione quaresimale che stiamo vivendo, ma uno mi sta impegnando particolarmente per tentare di trovare una risposta: può esistere una prossimità distante? E’ una domanda che nasce dalla consapevolezza che è impossibile concepire un rapporto di prossimità che non si realizzi pienamente e autenticamente attraverso un costante dialogo con la capacità di distanziarsi ricorrendo efficacemente al telefono o ad altri strumenti tecnologici di comunicazione. In sostanza là impossibilità materiale di non percepire , nel dialogo a cui eravamo abituati, l’espressione amorevole del volto dei propri cari – in particolate dei propri nipoti- può aprirci alla nostra nuova capacità di vivere una prossimità affettiva distante , ma sempre densa di calore affettivo e confortevole . La risposta consapevole chiama in causa un’altra relazione umana ed affettiva di primaria importanza, quella di cura che affonda le sue radici fisiche nel dolore e della sofferenza collegata all’infezione pandemica. Allora la sofferenza dell’isolamento temporaneo diventa certamente più accettabile e sopportabile rispetto alle tanto paventate e reali sofferenze patologiche del coronavirus. All’interno di un orizzonte relazionale più vasto, se si parte dall’approdo interiore delineato, anche la compressa relazione sociale diventa portatrice di una nuova consapevolezza che , soprattutto le persone anziane, hanno il dovere di trasmetterla, con pazienza e amorevole costanza. Quello che conta , specialmente nel momento attuale, non è il rifugiarsi nel proprio spazio privato dell’indifferenza, del pensare solo a se stessi, con la paura di usare persino il telefono come se il virus fosse trasmissibile per via telefonica. Vivere responsabilmente l’attuale periodo quaresimale significa anche uscire da un’altra deleteria postazione , quella di ricercare, sempre e comunque, la colpa di chi ha provocato l’attuale disastro pandemico. E’, quella della colpa, una ricerca che non approda a nulla : quello che oggi tutti abbiamo bisogno è l’auspicio che si possa scoprire, a livello personale e collettivo, qualcosa di nuovo e ulteriore, perché vi è sempre un irriducibile positivo nell’essere umano e nel divenire della storia.
di Gerardo Salvatore