Corriere dell'Irpinia

A Santo Stefano del Sole “Per il verso giusto”, viaggio nella poesia dialettale

di Franca Molinaro

Sabato 27 luglio, a Santo Stefano del Sole, si è tenuto il primo contest di poesia dialettale indetto dalla Confimprenditori, con il patrocinio dell’Amministrazione Santoli, della ProLoco guidata da Massimo Mastroberardino, del Centro Etnografico Campano, l’Associazione Omast Eventi, sotto la direzione artistica di Roberto D’Agnese. I poeti e i giurai si sono riuniti nel pomeriggio nella Chiesa di San Giovanni Battista, un antico luogo di culto con un particolare bassorilievo incassato nel pavimento, recante la targa di costruzione dell’edificio di culto ed immagini ispirate alle anime del purgatorio, elemento alquanto originale ed unico nelle nostre contrade.
La comitiva ha fatto un largo giro per le vie del paesino, guidata dal presidente della ProLoco che ha illustrato storia e tradizioni di questa piccola perla affacciata sulla valle del Sabato. Il confronto nasce spontaneo tra persone che hanno le stesse passioni così, tra uno stornello della Rosamarina e il ricordo di un tarallo raffajuolo, per loro semplicemente un tarallo di Pasqua, lasciata la frescura del lavatoio, siamo risaliti in quella che hanno denominata la Piazza del Sole. Il largo spiazzo esposto a Sud-Ovest è arricchito da tre “Teglie”, tre splendidi esemplari di Tilia cordata, il tiglio nostrano, il più vecchio posto a dimora, probabilmente nel 1799 quando, su imitazione dei Francesi, anche i nostri giacobini piantarono nelle piazze gli alberi della libertà.
La declamazione dei versi è avvenuta all’interno della chiesetta, moderata da un’attenta Stefania Marotta; 12 i poeti partecipanti: Gennaro Marrazzo, Antonio De Feo, Polverino Mariano Luca, Marisa Ercolino, Anna Rosa Lauro, Gennaro Caliendo, Viviana Miele, Orlando Esposito, Patrizia Girardi, Angela Martino, Anna Savelli, Mena Matarazzo. Il premio “Verso Giusto” è andato ad Anna Rosa Lauro mentre quattro “Penne d’oro” sono state assegnate a Viviana Miele, Antonio De Feo, Gennaro Caliendo, Orlando Esposito.

I temi affrontati sono stati vari, ha prevalso il classico napoletano con accentuate note teatrali, nota irpina di notevole interesse è stata quella di Antonio De Feo con il componimento “A chi appartieni”, domanda che presuppone una radice profonda connaturata all’ambiente, alla storia, alla tradizione di un luogo e di una comunità. Quell’appartenenza che garantisce l’esistere all’interno di un gruppo, lo stesso che sostiene nei lutti e gioisce nei momenti felici, caratteristiche ancora riscontrabili nelle piccole comunità ma che il modernismo va sfaldando per plasmare un uomo sempre più egoico e infelice. Il poeta Franco Sorvillo del CEIC, nonché giurato, sostiene che ognuno ha dentro di sé il germe della poesia, sarà per questo che quella moderna è così angosciante, triste, pervasa di solitudine.
Originalissima si è rivelata la proposta della dottoressa Graziella Di Grezia, medico e membro della giuria: realizzare delle cartoline poetiche su cui il verso sposa uno scatto del paese. Proposta che potrebbe diventare una sezione per la prossima edizione del premio. Il verso più bello per lo scatto più bello e certo qui non correremmo il rischio di “istigazione al suicidio” perché tra questa verzura, che copre la fiancata occidentale del monte Terminio, lo spirito si ricongiunge alla terra e l’anima si purifica, basta solo ascoltare le energie telluriche che salgono dal profondo e si insinuano nei piedi scalzi, nelle menti sgombre, pronte ad assorbire il cielo nel suo sconfinato orizzonte.


Straordinaria scoperta è stata il sindaco Gerardo Santoli, un novello Rocco Scotellaro, con la sua garbata umiltà ha conquistato i presenti dimostrando come, il complicato mestiere di amministratore può sposare la purezza d’animo del poeta e generare bene comune. La declamazione delle poesie è stata accompagnata dal suono degli strumenti di Martino D’Amico mentre le stanze della Rosamarina sono state cantate da Achille Volpe ed il suo gruppo di giovani mossi dal desiderio di mantenere questa antica tradizione. E su questo tema rifiorisce un vecchio dibattito: cristallizzare la tradizione in un determinato momento o lasciare che si modifichi subendo inquinamenti e infiltrazioni. Su questo si sono trovati tutti concordi, esplicito è stato il professor Ugo Vuosso, antropologo e presidente del Centro Etnografico Campano, onorevole membro della giuria, ribadendo che la tradizione è ciò che una società genera, se tale rito si trasforma è perché risponde alle necessità di tale comunità, quando si estingue è perché, paradossalmente non ve ne è più bisogno. Così Roberto e Massimo, in una prospettiva più diretta perché giovani, hanno sostenuto che la tradizione per sopravvivere deve assorbire gli elementi che le generazioni, nel loro susseguirsi, propongono. Questa non è solo una teoria ma una constatazione che emerge anche attraverso lo studio della poesia dialettale irpina. Partendo da Astrominica, passando per i suoi successori, fino ad arrivare a quanti oggi scrivono nei nostri vari dialetti, scopriamo come la bellezza classica del Nuscano apripista del genere si trasforma in partenze e addii di emigrazione, sofferenze e miseria nelle terre dell’Osso, corruzione di termini importati, passando per la malinconia del tempo che fu e infine per la desolazione attuale dove, più che mai il poeta si sente figliastro di una matrigna che non cresce i suoi figli ma li spedisce per il mondo dove nessuno sa a chi appartieni e nessuno consola per un lutto.
Personalmente ho provato gran piacere per questa iniziativa, dopo decenni di premi e raduni a sostegno del dialetto e delle tradizioni, noi della Grande Madre ci eravamo fermati, un po’ stanchi, un po’ squattrinati, senza risorse fresche, anche la nostra Daniela se n’è andata fuori a cercare la sua strada, oggi, scoprire dei giovani interessati e capaci di riprendere il discorso mi dà speranza, chissà ce la possiamo fare…

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