Corriere dell'Irpinia

Ancelotti abbraccia i giovani di Giffoni: trasformate le sconfitte in trampolino di lancio

“La sconfitta è una parte del lavoro, la più complicata e triste. Però dalle sconfitte si impara tanto e devono essere considerate un punto di partenza. Ai ragazzi dico di fare come il mio Real Madrid: la scorsa stagione, abbiamo perso una sola partita. È stata l’unica macchiolina di una cavalcata straordinaria, ma se non avessimo perso quella gara a settembre, non avremmo imparato dai nostri errori e non ci saremmo ulteriormente rafforzati”. È un Carlo Ancelotti in veste inedita – viaggiatore, appassionato di cinema e innamorato dei giovani – quello che incontra i ragazzi delle sezioni Sport e Impact, nella sala blu Impatto Giovani della Multimedia Valley. La platea lo accoglie con un applauso fragoroso: 200 ragazze e ragazzi provenienti da ogni parte d’Italia e con background diversi vanno… in pressing sull’allenatore dei galacticos, a poche ore dall’allenamento del Real Madrid. Ancelotti ha vinto tanto in carriera, quasi tutto, ma non è sazio: “Incomincia la mia 29esima stagione e ho vinto solo cinque volte il campionato. Faccio un rapido calcolo: se ho vinto appena cinque volte, significa che in altre 24 circostanze ho perso”.

Che cosa farà da grande? Riflette, ride, scherza davanti alla domanda, che poi scivola sul tema della Nazionale come futuro impiego, Ancelotti non dribbla, insomma non si sottrae. “Quando il Real mi dirà che si è stancato di me, potrei fare il pensionato oppure continuare ad allenare, se avrò le motivazioni. Riguardo il mio eventuale futuro a capo di una Nazionale di calcio, sarei un po’ dubbioso, perché mi piacciono molto il lavoro di campo e la quotidianità che perderai da Ct”. Allenerà Mbappé, elogia i fuoriclasse della nazionale spagnola – da Yamal a Nico Williams – che hanno stravinto il campionato europeo con la “furia roja”. Ma soprattutto Carlo Ancelotti parla ai giovani di Giffoni.

 

“Non smettete mai di studiare, di sforzarvi di crescere e di guardare il mondo con gli occhi della curiosità. Non ponete limiti a nulla. Sono stato in vacanza in un posto bellissimo: la regione del Montana ha natura incontaminata. Vi consiglio anche Vancouver che è un altro posto meraviglioso, dove si studia e si sta bene”. Poi il ricordo del collegio dei Salesiani e di una domenica mattina, quando gli chiesero di scendere in campo per partecipare ad una partita insolita. Ancelotti ha raccontato del giorno nel quale, a sedici anni, prese parte ad una partita che non scorderà mai .Il 16 marzo del 1975, una domenica mattina, sul campo del parco della Cittadella di Parma, si affrontarono due curiose squadre di calcio: la rappresentativa della troupe di Salò o le centoventi giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini sfidava quella di Novecento di Bernardo Bertolucci. Il grande schermo li ha poi consacrati come due film che segneranno la storia del cinema italiano, girati negli stessi giorni, a pochi chilometri di distanza. Carlo Ancelotti ha confermato di essere stato ingaggiato da Bertolucci per giocare quella partita, insieme a un suo compagno delle giovanili del Parma. Grazie al loro fondamentale contributo la troupe di Novecento vinse, lasciando a Pasolini la delusione per la sconfitta. “Novecento è poi diventato uno dei miei film preferiti e lo guardo sempre con molto piacere”, ha concluso Ancelotti.

Castrogiovanni: coltivate i vostri sogni

Applauditissimo anche Martin Leonardo Castrogiovanni, campione della nazionale italiana di Rugby: “Adoro l’energia dei giovani e sono felicissimo di essere a Giffoni” esordisce l’atleta nato in Argentina nel 1981 da una famiglia di origini siciliane. “Il nostro futuro dipenda da voi. Il nostro futuro siete voi” tuona rivolgendosi alla platea. “Coltivate i vostri sogni con passione, impegno e sacricio senza farvi mai frenare dalla paura di fallire. Quello che conta davvero è mettercela tutta. Questo è il vero successo”.

La sua carriera da rugbista parte subito forte. Viene tesserato dal Leicester, uno dei club più prestigiosi d’Inghilterra. Qui vince la premier e viene nominato miglior giocatore del campionato. Poi, per quattordici lunghi anni, veste la maglia dell’Italia. “Il rugby mi ha insegnato a vivere. È uno sport che educa a prenderti le tue responsabilità. A rialzarti sempre, a rispettare gli altri. Ho sempre creduto nella sua filosofia e nei suoi valori”. Castrogiovanni è subissato dalle domande dei giurati. L’incontro è ad alta intensità di emozioni e densità di contenuti.  “Se mi sento un campione? Lo sono stato sempre insieme ai miei compagni. Mai da solo”. In questo senso aggiunge che “ci sono due cose davvero fondamentali nella vita”. Queste due cose sono il Terzo Tempo e lo spogliatoio. “Il rispetto dell’avversario, che non è un nemico, e il gioco di squadra fondato sull’amicizia, vengono al primo posto” sostiene l’atleta argentino. “Certo, pùò capitare e sicuramente capiterà a tutti di litigare nella propria vita ma la rabbia non va mai portata a casa. Bisogna sempre parlare e chiarirsi” conclude “per trasformare quella rabbia in energia. Una potentissima, sana e positiva energia”.

Bellocchio: fate dell’arte un mestiere per sopravvivere

E’ poi la volta di Pier Giorgio Bellocchio. “Non mi sono mai svegliato dicendo al mondo che sono un attore, io volevo fare il cinema” racconta ai #Giffoners +18- Esordisce come attore nel 1980 nel film “Salto nel vuoto” per la regia del padre Marco, mentre la sua carriera di produttore ha inizio con “Il Principe di Homburg” nel 1997.  In più di 30 anni di lavoro partecipa a più di 40 titoli come attore e produce oltre 30 tra film, documentari, cortometraggi e videoclip. La prova provata che un attore può essere produttore, sceneggiatore o regista, unendo più aspetti in modo consapevole e assai critico: “Questo è un paese che premia lo specialista, i polistrumentista sono guardati con sospetto. Vincere un talent è il miglior trampolino, mica percorrere una carriera accademica?” – lancia così una provocazione in una chiacchierata generosa insieme ai tanti curiosi e a chi come lui sin da attore emergente si é dato da fare ai provini, dove molto spesso è stato rimbalzato. “Questa è la mia esperienza, di uno che ha appena compiuto 50 anni, conquistando un’obiettività su questo mestiere assai complicato” – ammicca ai ragazzi, anche in modo paternale (ha due figlie di 14 e 18 anni, ndr) – “Se un attore è in grado di costruire una carriera parallela può sopravvivere a certe frustrazioni di non lavorare sempre o non superare prove. E’ una cabala. Tendo a spingere a chi si affaccia a questo mondo a coltivare un piano b, che non vuol dire slegarsi dal mestiere dell’attore, ma di fare della propria arte un mestiere per sopravvivere e costruire una vita che non sia totalmente dipendente dagli altri”.

Dell’Anna: l’idea del successo va ridimensionata

Ha studiato recitazione a Londra, ha all’attivo film con alcuni dei registi italiani più apprezzati del cinema contemporaneo ed ha appena girato un film negli Stati Uniti. Cristiana Dell’Anna è tornata dopo molti anni a Giffoni, portando con sé un carico di novità. L’ultima è l’esperienza oltreoceano, con le riprese del film Cabrini, regia di Alejandro Monteverde, non ancora uscito in Italia.

“Forse il mio lavoro più complesso, una lunghissima preparazione negli Stati Uniti, un successo che non avrei potuto immaginare”. Francesca Saverio Cabrini è stata una missionaria ed una educatrice, in seguito proclamata santa per le sue profonde radici umane. “Aveva capito il senso di comunità, la usava come difesa e come attacco. Irriverente, non accettava un no come risposta, lottava per la dignità delle persone e le comprendeva grazie alla sua straordinaria empatia”.

L’incontro con i giurati di Generator +13, +16 e +18 è stato denso di emozioni. Tanta la sete di scoprire il suo percorso, le sue difficoltà, di ricevere consigli. “Studiate, studiate, studiate, arricchitevi sempre. Questo è un lavoro che richiede costanza e preparazione, non è un lavoro che vi viene dato ma che dovete conquistare. Non esiste un percorso uguale per tutti. Non ho mai pensato che qualcuno mi dovesse dare opportunità, me le sono andate a cercare sempre. Salire piano piano è più bello, quando ti guardi indietro è molto soddisfacente”.

Il suo è un racconto di forza, quella che ha trovato nonostante non sia stata sostenuta dalla sua famiglia. Anni di duro lavoro, in cui l’accademia a Londra è stata possibile solo lavorando in un pub e stringendo i denti. “Dove non ho sentito la forza del sostegno della mia famiglia ci sono stata io, credendo in me stessa. Fare l’attrice significa essere sempre disoccupati, o quasi. È stancante, è difficile, ma non riuscirei a fare altro. Per me recitare è espandere le mie esperienze e la mia vita. Ma l’idea del successo va ridimensionata, deve essere collegata a qualcosa di più profondo, come fare ciò che si ama, non necessariamente arrivare all’apice”.

La magia di Parthenope con Sorrentino: Intuito, dote fondamentale per un regista.
Essere disuniti è una condizione giovanile

Parthenope è (pura) magia nella freschezza di un racconto giovane ma emozionante, che fa venire i brividi alla prima visione e che lascia con l’attesa spasmodica di vederlo interamente proiettato nelle sale dal 24 ottobre, distribuito da Piper Film. Potrebbe essere racchiusa in una sola frase la visione di alcune clip del nuovo film di Paolo Sorrentino che racconta Napoli e l’amore con gli occhi di una bellissima donna. L’onore è stato tutto dei #giffoners dell’edizione numero 54 del Giffoni Film Festival attualmente in corso che hanno potuto visionare qualche spezzone tratto dall’opera insieme ai protagonisti Celeste Dalla Porta, Dario Aita e Daniele Rienzo con un collegamento speciale, quello del regista Sorrentino che ha risposto alle domande e alle curiosità dei giurati presenti nella sala Truffaut della Cittadella. Ma perché scegliere Giffoni per parlare di Parthenope?

A rispondere è stato direttamente Sorrentino. “Tramite i ragazzi di Giffoni spero di arrivare a tutti gli altri ragazzi. Non una categoria unica ma tutti quelli diversi tra di loro, perché le generalizzazioni sono sempre sbagliate”. Le curiosità spaziano tra i film di successo del regista e soprattutto sul significato di “disunire”, parola chiave in “E’ stata la mano di Dio”: “Essere disuniti è una condizione giovanile. Vuol dire vivere l’età giovane: sentirsi padroni del mondo ma quando ci si sente padroni del mondo si perde se stessi. Quando si è giovani ci si sente che si può avere il mondo ma questo possesso fa sì che non si riesca a trovare realmente se stessi. Anche da adulti ci si può sentire così”.

Un regista deve essere dotato di intuito: “Non c’è tempo di pensare o di elaborare troppi pensieri, l’intuito è una dote principale per un regista, capacità di controllare più cose contemporaneamente”. E’ d’accordo anche la protagonista, l’attrice Celeste Dalla Porta: “Questa qualità di cui parla si è vista sul set, aveva tutto sotto controllo pur non mostrando lo sforzo nel farlo”. Avvolti dall’abbraccio e dalla folta presenza in sala, gli attori si sono interfacciati con le curiosità che i giffoners hanno voluto sapere dal set e dal primo incontro con il regista. La scena emblematica di un abbraccio tra loro tre, hanno sottolineato, rimarrà indelebile proprio dentro di loro: “Essendo un film sulla giovinezza questa scena è importantissima.Per me essere giovani comporta una grande responsabilità perché si sta costruendo contemporaneamente il futuro ma anche il proprio passato, quello che ricorderemo in maniera più malinconica e rancorosa. Questa scena rappresenta uno di quei momenti meravigliosi in cui si è giovani senza stare a pensare al futuro né al passato, si vive l’estasi del presente – ha dichiarato Sorrentino – quel momento meraviglioso in cui il presente accade e si è vivi e si ha la sensazione che quello che sta capitando è amore e di un presente che non tiene conto dei legami con il futuro che da giovane si costruisce”.

La simpatia travolgente di Daniele Rienzo ha affascinato tutti, tra l’accento napoletano e qualche battuta ma soprattutto la meraviglia dello stesso attore che appena arrivato in sala ha esclamato: “Ma quanti siete?”. Tante le richieste di consigli arrivate dai ragazzi agli attori del cast: “Non volevo fare l’attore – ha dichiarato Dario Aita – ho cominciato a farlo perché mi piaceva il cinema e volevo fare il regista, piano piano ho cominciato a farlo. Non credo ci siano ricette: se ti piace trova quante più situazioni possibili per farlo”. Per Sorrentino – infine – un film “più che dare delle risposte deve porre delle domande. Io ogni volta lavoro sempre per fare quello che non riuscirò mai a fare: un capolavoro”.

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