Corriere dell'Irpinia

Ariano Film Festival, Verdone abbraccia il pubblico irpino: travolto dal vostro calore. Per fare cinema bisogna amare la vita

È stato Carlo Verdone il mattatore della serata conclusiva della dodicesima edizione dell’Ariano International Film Festival, conclusasi ieri in Villa Comunale. Un premio speciale per un artista capace come pochi di raccontare le trasformazioni della società e la complessità dell’animo umano, con profondità, leggerezza e malinconia.

“Sono stato travolto da un fiume d’affetto. Questa città è bellissima” sottolinea con emozione Verdone. Saluta i presentatori Emanuela Tittocchia e Franco Oppini “Io ho cominciato a ‘No Stop’ con lui e i Gatti di Vicolo Miracoli”. Pone l’accento sullo studio necessario per affermarsi in un mondo difficile come quello del cinema “Quando prendi coscienza di avere talento, devi avere anche un po’ di paura, è giusto sentirsi inadeguati. È una lezione che mi ha trasmesso mia madre. Non puoi pensare di riuscire sempre a conquistare tutti. Quello dell’attore è un lavoro che si fa seriamente.

La naturalezza si acquisisce con l’esperienza, si riesce ad essere veri, poiché quel modo di fare lo si sente familiare, lo spettatore lo percepisce come autentico poiché lo ha visto tante volte per strada e nei bar. Per fare cinema bisogna amare la vita. È importante osservare sempre la gente. I personaggi dei miei primi film sono nati tutti nel mio quartiere, dall’osservazione delle vecchie botteghe. Oggi mi ritaglio ruoli consoni alla mia età, dirigo un’orchestra e spero sempre ci siano giovani nuovi da esaltare. Se non si osserva la gente, si rischia di essere un imitatore di ciò che si vede in Tv”.  E su Borotalco “Quel film è una favola, un manifesto degli anni ’80, per il candore dei personaggi. Ricordo che la Roberts fece causa a Cecchi Gori perché si usava nel titolo del film la parola Borotalco, che avevano inventato loro. Poi il film fece un grande incasso e questi di Firenze sparirono”.

Confessa che “Non volevo fare l’attore, volevo diventare un regista di documentari. Vedevo mio padre, professore di cinema, che parlava a cento persone nelle sue conferenze ed ero stupefatto, non capivo come facesse. Poi il percorso mi ha condotto lungo strade che mai avrei immaginato di percorrere, dal teatro underground al cinema. Io avevo un talento che non sapevo di avere. Non immaginavo sarei riuscito ad andare da qualche parte con la mia faccia. Ho capito poi che c’era un feeling misterioso tra me e il pubblico. In ogni film c’è un trenta per cento di improvvisazione, Anzi in alcune pellicole è tutta un’improvvisazione.

Le ragioni per cui alcune scene hanno più successo di altre sono inspiegabili anche per me”. Si sofferma sull’ultimo progetto, la serie ‘Vita da Carlo’, giunta alla quarta stagione: “C’è molto di me nel protagonista, nelle reazioni ed emozioni, nella malinconia del comico. Volevo essere Carlo Verdone nel modo di camminare, nel modo di relazionarmi con i figli o la governante, volevo mostrare come sono dentro casa anche se non tutto quello che viene mostrato è vero”. E racconta come la seria “è stata anche terapeutica. A volte a casa mi hanno detto: perché hai raccontato quella cosa?”.

E sul personaggio più amato “Sono quelli che mi hanno dato più fortuna nelle gag. Come quello ispirato a Stefano, un mio amico che parlava con una voce grossa fin da bambino che ci invitava sempre a giocare a pallone a casa. Un ragazzo di una poesia unica come Mimmo in ‘Bianco, Rosso e Verdone’ Era appassionato del presepe. Ricordo che ci volle mostrare la Natività, a partire dalla cometa e da quel bue improvvisato”. Spiega come “Avevo paura stasera di restare senza voce, mi sono operato alla tiroide pochi giorni fa ma non ho resistito al desiderio di fare i miei personaggi. Grazie Ariano”. Snocciola aneddoti e si conferma straordinario nella capacità di tenere il palco e raccontarsi. È il sindaco Enrico Franza a consegnargli il riconoscimento e a chiedergli quale scena finale dei suoi film abbia amato di più. “Il finale di ‘Al lupo, al lupo” con il padre che dipinge i bambini – spiega – è quello per me più poetico”. Per lui una vera standing ovation

E sono davvero tanti gli ospiti della cerimonia come i i giovani attori Andrea Montovoli, Piero Cardano, Carmine Buschini e Aras Senol. Protagonisti di film, serie e programmi tv di successo, i quattro interpreti si sono concessi alle domande e alle curiosità del pubblico, che li ha accolti con un calore eccezionale. Spaziando da L’isola dei famosi a Braccialetti rossi, per arrivare a Generazione Poker, gli ospiti si sono raccontati tra sfide raggiunte e nuovi traguardi professionali.

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