Corriere dell'Irpinia

Avrò cura di quei giorni, Della Porta e gli anni ’80 tra ricordi, musica e pensieri

“Accanto alla scuola c’era il convento dei Cappuccini. Più di una volta ho chiesto ai monaci cosa li avesse spinti a indossare il saio e loro asserivano di aver ricevuto una chiamata da Dio. Io mi sono sempre domandato perchè non mi abbiano parlato di scelta personale, di vocazione. Per colpa loro ho vissuto l’infanzia con la paura di quella chiamata improvvisa, una specie di interurbana ineluttabile che avrebbe rotto il silenzio della notte”. Scrive così Max Della Porta nella sua raccolta “Avrò cura di quei giorni”, edizioni Il Papavero. Un viaggio indietro nel tempo, una raccolta di racconti e pensieri attraverso i quali Della Porta rievoca simboli, rituali, miti, abitudini che scandivano gli anni Ottanta.

E’ lo stesso autore a spiegare come nasce l’idea del volume “Per me ricordare significa abitare i luoghi popolati dalle persone a cui abbiamo voluto bene, significa guardare in faccia i propri errori e imparare ad accettarli per riuscire a perdonarsi; significa rivivere quelle sensazioni che ci hanno dato l’opportunità di conoscere ciò che banalmente va sotto il nome di felicità. Ho quindi pensato di condividere momenti di vita vissuta con la consapevolezza che ciò che credevamo relegato alla sfera individuale può rappresentare invece anche l’espressione di un sentire comune”, Dal walkman ricevuto in dono dai genitori emigrati in Svizzera alla passione per i juke box, dalle pluriclassi che scandivano l’infanzia a Goldrake e Mazinga, dai Depeche Mode e Vasco Rossi alla passione per il cinema e i Bmovie, le cui battute risuonano ancora nella testa, fino ai giri in Vespa con gli amici di festa in festa. Ad emergere lo spaccato di una società in cui la gioia era anche solo quella di accaparrarsi una videocassetta o un disco, o di scambiare una parola con una ragazza e non esisteva la Rete con le sue risorse sconfinate, in cui si cresceva giocando per strada, su un campetto da calcio come quella del convento, imitando i Superboys di Shingo Tamay, facendo merenda con pane e paparuli fritti,  facendo scorrazzate con la vespa, come con la Banda dell’Orecchino, magari imbrattando i muri di qualche paese e lasciando scritte improbabili come  “Warriors of Serra and Bronx of Montaperto”.

Ma significava anche fare i conti con quel patrimonio di superstizioni e usanze che trasmettevano le piccole comunità, retaggio della cultura contadina, insieme a etichette, pregiudizi e superstizioni. Dal contruocchio alle gocce di oliva nei piatti, amuleti e scaramanzie facevano parte della quotidianità “Se ti fischiava l’orecchio sicuramente qualcuno ti stava nominando, se ti toccavi il collo sicuramente avevi mal di gola; e se ti facevano male le tonsille, la diagnosi era ineluttabile “Adda esse stata na sudata arrefreddata”. Tanti gli aneddoti narrati, dal sogno di diventare ricchi come spacciatori di banane secche all’esperienza di lavoro in fabbrica in Svizzera come punizione per la bocciatura, così da comprendere la durezza del lavoro in fabbrica, dagli innamoramenti ai Sedici volumi della Enciclopedia Universale portati in treno dalla Svizzera, con quel peso da trascinare lungo la banchina dei binari, dalle firme false dei genitori riprodotte sul libretto delle giustifiche agli anni da rappresentante d’istituto con il privilegio di poter uscire dalla classe per vendere i biglietti del Mac P, fino alle ore trascorse in piazzetta  “le sue panchine di cemento hanno accolto risate e pianti, amicizie e amori e sono state testimoni di carezze audaci e baci desiderati tre il fumo di mille sigarette e foglie nel vento”. La semplicità governava amicizie e rapporti con gli altri “Il luogo d’incontro non era virtuale – scrive Giuseppe Centrella nella prefazione -e consentiva socialità e contatto anche fisico, che avveniva  con una stretta di mano o con un abbraccio. Ma soprattutto vedevi l’espressione del viso della ragazza alla quale stavi svelando il suo segreto e potevi non solo apprezzarne il sorriso da vicino ma anche respirarne il profumo”

 

Exit mobile version