Corriere dell'Irpinia

Capriglia di Principato Ultra nel 1745, a confronto sullo studio di Agostina Spagnuolo

Sarà presentato il 10 agosto a Capriglia Irpina, presso la chiesa madre di San Nicola di bari,  il libro-ricerca dal titolo “Capriglia di Principato Ultra nel 1745, Il catasto onciario”, edizioni Il Terebinto, a cura di Agostina Spagnuolo. Interverranno il Sindaco Nunziante Picariello, Don Vincenzo Giraldi, Parroco di Capriglia Irpina, il dottor Ettore Barra per le edizioni Il Terebinto e la scrittrice. Modera Gianluca Amatucci. Spagnuolo, storica attenta e rigorosa, conferma il legame forte con il territorio e offre uno spaccato del contesto storico-sociale del comune di Capriglia, a partire dai dati del Catasto onciario.

E’ Francesco Barra nella prefaziona a sottolineare come “Con piena adesione filologica alla fonte documentaria, ma anche con attenta analisi critica della stessa, Agostina Spagnuolo presenta i risultati demografici ed economico-sociali offerti dal Catasto onciario di Capriglia Irpina del 1745. Si tratta, com’è noto, di una fonte privilegiata e pressoché unica per ricchezza e completezza di dati, per la storia dei Comuni del Regno di Napoli a metà del
XVIII secolo. L’Autrice, favorita in questo dalla ridotta dimensione territoriale e demografica della Capriglia del tempo, ha saputo ricavarne tutte le notizie che il Catasto offre, a cominciare dalla griglia demografica, ricostruendo per così dire lo “stato civile” di tutte le famiglie e di tutti gli abitanti del paese, con i rispettivi mestieri, redditi, proprietà e “pesi”, e ricostruendo altresì, attraverso gli antichi toponimi, il paesaggio agrario e l’habitat naturale del territorio. La realtà complessiva che emerge dall’attenta analisi condotta da Agostina
Spagnuolo è quella di una dimensione spaziale e urbanistico-architettonica tutta particolare, fortemente decentrata in minuscoli “casali” (Cresta, S. Felice, Marzano), sorti lungo le antiche vie di comunicazione che dall’area del Partenio scendevano verso Avellino e Atripalda lungo la valle della Scrofeta, e che facevano capo al centro abitato principale, dominato dal castello feudale e dalla chiesa arcipretale.
L’attività assolutamente prevalente, e pressoché unica, era quella agricola.
Ma si trattava di coltura promiscua (cereali e vino), esercitata in microfondi da coloni-enfiteuti. Il monopolio della pur abbondante produzione vitivinicola esercitata dai mercati cittadini di Avellino e di Atripalda impediva del resto, tenendo i prezzi forzatamente bassi, a deprimere quella che era la produzione di maggior pregio e redditività….In sostanza, quella fedelmente “fotografata” dal catasto del 1745 è la realtà di una società da poco uscita piegata e piagata dalla crisi, che tende a risollevarsi e a riprendersi, soprattutto dal punto di vista demografico, ma senza alcun significativo mutamento strutturale dei meccanismi di produzione”

E’ la stessa autrice a spiegare l’idea da cui nasce il volume “Con amore mi sono avvicinata a questo lavoro che mi ha preso intimamente per il desiderio di riportare alla memoria una storia antica della mia gente. Qui è il mio paese, un pezzo della sua esistenza, del suo esserci in un mondo che spesso tutto dimentica. Il sovrano Carlo III, sorretto dall’intento di una giusta legge in merito al pagamento delle tasse, nel 1741 emise una Prammatica in
seguito alla quale fu delineato un quadro della popolazione esistente. Non è una fredda redazione di nomi, un elenco di proprietà, di “Pesi”, come erano dette a quel tempo le tasse, né un’arida indagine sociologica ed economica del passato, quella che ho effettuato. È stato invece un immergermi in una realtà a me familiare nonostante tre secoli di distanza. Delle persone, i cui nomi in parte mi sono familiari, ho individuato le esigenze di vita, i bisogni, le difficoltà. Ne ho immaginato l’esistenza. Ho cercato i nomi dei miei antenati, come ognuno potrebbe ricercare i propri, in questo spaccato di storia, la cui fonte è conservata presso l’Archivio di Stato di Napoli, dove ho svolto le mie ricerche”

“Quella di Capriglia nel 1745 – spiega Spagnuolo nella descrizione del volume – è una realtà povera: per la maggior parte gli abitanti svolgono l’attività di bracciale, ossia sono lavoratori della terra, con poche proprietà. Sostengono Pesi alla Camera Baronale, alle Cappelle, a privati cittadini, sia sulla casa di abitazione, sia sui terreni, tutti sottoposti a censi enfiteutici. Diverse famiglie vivono in case in affitto, di uno o due membri.
Pochi sono i possidenti di case di 5 o 6 membri, e sono soprattutto ecclesiastiici. Dalla collettiva delle once, infatti, si evince che le tasse sull’onciario sono prevalentemente sui redditi da industria, pochi sui beni. Gli artigiani sono più fortunati, ma sono pochissimi: Luca Raguccio sartore di 56 anni, Sabato Marrone calzolaio di anni 34, Romualdo Marro muratore di anni 56 e il figlio Sabato di anni 22. Vi è Matteo Serino bracciale di anni 40, il quale viene tassato per once 14 per industria, tuttavia risulta bracciale: probabilmente è anche lui un artigiano ed erroneamente è stato riportato come bracciale. Non sappiamo
che tipo di artigiano sia. Mancano medici, notai e altri tipi di professionalità. Il marchese Gaetano Amoretti non viene tassato, dunque, né per il testatico, né per l’industria, né per i beni feudali per i quali pagava l’adoa, ma soltanto per i beni burgensatici, il tutto per once 391,6”.
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