Con riferimento al Sud, la battaglia, per il momento, sembra persa. La classe dirigente meridionale è quasi sempre incapace di svolgere un ruolo virtuoso per far valere le ragioni di un territorio fortemente penalizzato non solo per assenza di infrastrutture, ma di una politica sociale in grado di restituire la dignità tolta ad un popolo di formiche, ricordando così le lucide analisi di Giustino Fortunato. Il ruolo della classe politica meridionale è svolto senza pensiero, con attenzione ai piccoli problemi del territorio di appartenenza, con mediocri operazioni clientelari in cambio del voto ottenuto su promessa. Non c’è un’idea complessiva per lo sviluppo meridionale e ciò legittima i governi a riprodurre nel tempo un effetto notte. Meno si parla di Mezzogiorno, meglio è.
Non molto diverso è il ruolo che svolge la deputazione regionale. Qui, in Campania, il fallimento del regionalismo è una realtà ineludibile. La qualità fondante delle Regioni era nel valore della programmazione del territorio e non, come è oggi, nella gestione spicciola delle clientele o delle premialità ai territori secondo l’appartenenza di chi gestisce. In realtà il governo De Luca sta operando una trasformazione solo di facciata, favorendo un processo di salernicentrismo rispetto al napolicentrismo. Il che è paragonabile più alla categoria della rivolta contro la metropoli che alla sempre più urgente necessità di un riequilibrio territoriale. Su questo c’è ancora oggi un solo riferimento: le opzioni Cascetta che segnarono l’avvio del regionalismo campano. Quanto al trasformismo, la Campania è un modello in Italia per i patti di potere.
E in Irpinia? A me sembra che stia emergendo una grande novità politica: un partito, il Pd, a guida Udc, con il sostegno di vecchi tromboni del Pci e di qualche giovane leva di quella che una volta era chiamata sinistra extraparlamentare. E per cementare questa singolare alleanza c’è chi usa la politica come professione di vita. A pensarci bene è questo il miscuglio che si è aggregato intorno alla vicenda dell’Alto Calore irpino che rischia di finire nelle mani di un rinascente comitato di affari. Sia chiaro: l’acqua è pubblica e tale deve restare. Sulla gestione occorre fare passi oculati per evitare che alcune possibili commistioni favoriscano il mettere le mani su una risorsa che, se ben gestita, può determinare la svolta per lo sviluppo della nostra provincia. Non occorre, come ha fatto il presidente De Stefano, fare fughe in avanti e personalizzare la vicenda, ma è utile mettere in campo la responsabilità di un’operazione che deve salvaguardare un nostro patrimonio. Quindi nessuna svendita, ma, nel contempo, nessuno spazio a chi dietro l’angolo cerca, con una oculata quanto immorale regia, di mettere le mani su quello che era diventato un carrozzone politico. Per chi non avesse capito, ripeto: attenzione ai comitati di affari trasversali. A costoro non interessa il valore dell’acqua, ma le consulenze che l’ente può attivare, così come è avvenuto per il passato. Per non parlare di operazioni tangentiste che pure hanno fatto storia. In soldoni: a costoro interessa gestire potere. Di qui l’invito ai sindaci, veri protagonisti di questa battaglia: non ascoltate chi ha mortificato questa provincia con la gestione del potere degli enti. Non fatevi convincere facendo scelte sbagliate secondo la logica dell’appartenenza. Non fatevi suggestionare da vecchi tromboni, trasformisti e clientelari, né da chi usa la vicenda dell’acqua come strumento di vendetta. Ascoltate solo la vostra coscienza per il bene di questa nostra provincia.
edito dal Quotidiano del Sud
di Gianni Festa