La politica, per quanto di sua competenza, è muta, senza coraggio, molto spesso compromessa. Essa controlla il territorio agendo da idrovora: cattura il consenso servendosi di spurio clientelismo e quando si rende conto che alcuni “santuari” sono impenetrabili, grazie ad uno spudorato trasformismo si vende alle regole del più forte. Rifletto, ora, sulla seconda considerazione: gli insopportabili ritardi nell’azione di infrastrutturazione del Mezzogiorno. Il problema è antico. Bisogna ricorrere con la memoria alla nascita della Cassa del Mezzogiorno, negli anni Cinquanta e all’azione di Alcide De Gasperi che ne volle l’istituzione, per trovare un timido segnale di politica infrastrutturale del Sud. Quello fu vero Risorgimento. Con il passare del tempo e l’invasione della malapolitica e il controllo della criminalità, che opera sempre laddove ci sono risorse da ingurgitare, anche la Cassa ha dovuto cedere, passando dalla visione complessiva dello sviluppo – con la costruzione di dighe e strade – alla politica delle mance per realizzare fontanini e interventi minori, ben lontani dalla visione strategica infrastrutturale del territorio. Penso ai tempi e alle distanze oggi tra Roma e Reggio Calabria, senza ferrovie ad alta velocità, o alla Napoli – Bari che, se tutto andrà bene, potrebbe diventare fruibile nel secondo quarto di secolo. Anche qui: dov’è la politica? E in quale mondo si sono rifugiati i politici meridionali che avrebbero dovuto impegnarsi per la soluzione di questi problemi? Infine, l’Europa. Qui è il nodo vero del disimpegno della classe dirigente politica, a partire dalla rappresentanza meridionale a Bruxelles, per giungere fino all’ultimo amministratore del più piccolo Comune del Sud, aggredito oggi dallo spopolamento e dalla fuga dei cervelli. La Commissione europea destina fondi notevoli per lo sviluppo del Mezzogiorno. Essi vengono gestiti dalle Regioni. Che cosa accade nel Sud? Che i fondi non sono utilizzati per mancanza di progetti credibili o per incapacità di progettazione. Cosa che, invece, sa fare bene il potere criminale. Risultato: le risorse non utilizzate vanno in perenzione, Bruxelles se le riprende e li destina ad altre nazioni europee. E la politica? Anche stavolta, sta a guardare. Queste modeste riflessioni mi permetto di consegnare al premier Giuseppe Conte, nel momento in cui egli si accinge, anche da meridionale pugliese, a consegnare al Parlamento le dichiarazioni programmatiche di indirizzo del governo del Paese. Con una sincera raccomandazione: l’Italia sarà unita e competitiva solo se tutti i vagoni del treno del Paese andranno nella stessa direzione, senza che qualcuno operi per farne deragliare una parte. E chi li occupa, alla fine, è poco importante.
di Gianni Festa