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Dalla Consulta ai partiti

 

Il mosaico uscito dal voto del 4 dicembre e dalla sentenza della Consulta ha messo sul tavolo della politica una diversa geografia dei partiti. Una ricomposizione figlia innanzitutto di un ritorno al proporzionale. Un sistema che consente alle forze politiche di presentarsi da sole alle elezioni evitando le ammucchiate della “seconda repubblica” come l’Unione prodiana o la Casa delle libertà di Berlusconi. E così se da sempre il Movimento Cinque Stelle ha scelto di correre senza alleati, identico percorso stanno per fare gli altri. La vera novità è in casa PD. D’Alema parla apertamente di scissione. E’ convinto che un soggetto politico dichiaratamente di sinistra possa prendere almeno il 10 per cento. Inevitabilmente la mossa dalemiana spinge Renzi ad occupare sempre di più il centro dello schieramento dove già ci sono i centristi di Alfano, l’UDC e Forza Italia. Il partito berlusconiano è tirato da una parte dai vari Parisi e Romani che puntano su un partito moderato e dall’altro da Brunetta e Toti più in sintonia con la Lega. E proprio il movimento di Salvini ha cambiato pelle rispetto al Carroccio a trazione secessionista di Bossi. L’attuale leader leghista ha un programma compatibile con gli altri partiti populisti che stanno emergendo in tutta Europa. I nemici sono comuni: il globalismo, l’immigrazione, l’euro, le banche. E sono identici anche gli amici: Trump e Putin. E così queste forze conquistano larghe fette d’elettorato e sono pronte a correre per la vittoria in molti paesi. A marzo si voterà nell’Olanda di Geert Wilders e a maggio il test più significativo in Francia dove Marine Le Pen è la favorita per l’Eliseo. E a contendere la vittoria in Germania alla Merkel c’è un’altra donna: Frauke Petry. Movimenti nuovi che vogliono cambiare soprattutto quest’Europa e ridisegnarne una delle Nazioni. Un modello che piace anche ai Cinque Stelle che non a caso in Europa sono nello stesso gruppo del nazionalista inglese Farage uno dei paladini della Brexit. Grillo sostiene che la politica internazionale ha bisogno di uomini di Stato forti come ad esempio Trump e Putin, che l’Europa è stata un fallimento e che serve un referendum sull’euro. In questa cornice dove emergono più gli slogan che le riflessioni il concetto di identità riprende prepotentemente forma e forza anche a sinistra. In questo campo nessuno immagina e propone soluzioni semplici anche perché non esistono. L’idea è quella di recuperare le tradizioni e i valori e allora si vagheggia di una sinistra in grado di ritrovare una sintonia con i ceti popolari e con il sindacato. Un ritorno all’antico non a caso ispirato da D’Alema che porterebbe il PD sull’orlo di una scissione. In realtà la sinistra è in crisi in tutta Europa e ha pochissime chance di vittoria in Francia mentre in Spagna appoggia un governo di destra e in Inghilterra è in mano ad un radicale come Corbyn. Solo in Germania ha qualche possibilità di poter succedere alla Merkel. In Italia l’obiettivo è abbattere Renzi considerato una sorta di usurpatore. E così da sempre la sinistra del partito ha lavorato per abbattere la sua leadership. Adesso che è uscito da Palazzo Chigi oggettivamente Renzi è più debole. Chi ambisce dunque alla segreteria del PD dovrebbe mettere in campo una strategia alternativa. Ed invece come ha notato Paolo Mieli al massimo viene resuscitato l’Ulivo e il concetto di unità. Come nel ‘900 quando tutti i partiti della sinistra più si scindevano e più si richiamavano all’Unità. E allora per dirla con Mieli è improbabile che oggi tutti quelli che si proclamano ulivisti abbiano prospettive di successo maggiori di quelli che nel secolo scorso si dicevano unitari.
edito dal Quotidiano del Sud

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