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Dicesi “impegno civile”

 

Tutte le espressioni che contengono la parola "impegno" sottintendono l’investimento di una parte del proprio tempo per occuparsi di qualcosa o di qualcuno. Si presuppone, cioè, che una porzione della giornata, libera dagli obblighi lavorativi e/o familiari, sia impiegata per dedicarsi ad una attività che suscita il personale interesse e per la quale si avverte una spinta propulsiva all’azione. Se poi l’impegno è unito ad una passione emotiva, ci si adopera maggiormente affinché quel forte interesse entri a pieno titolo nella lista delle priorità e abbia così di diritto un momento specifico durante il giorno. Occorre però sottolineare che l’unione del concetto di impegno con quello di coinvolgimento affettivo equivale al significato di ideale, ossia a quell’idea salda e potentemente radicata che si insegue senza limite e per cui si è disposti a fare qualsiasi cosa, non sentendola come un sacrificio. In nome di un ideale può prendere forma un’intera esistenza umana. La questione che si vuole mettere in evidenza, premesso ciò di cui sopra, riguarda un particolare tipo di impegno, che purtroppo sta via via diventando patrimonio solo di alcune persone, mentre invece dovrebbe essere elemento costitutivo di tutti noi. Si tratta dell’impegno civile, ovvero dell’opera che ogni individuo deve svolgere al servizio della comunità in cui vive, adoperandosi per offrire il proprio contributo al bene collettivo. Sono tante invece le prove tangibili che denotano uno scarso impegno sociale della maggioranza degli individui contro uno sparuto gruppetto di persone che ancora crede nel proprio ruolo di cittadino, come elemento imprescindibile di una società. E’ penoso osservare come, con il trascorrere degli anni, si sia creata una frattura tra i singoli e le istituzioni , come se queste ultime potessero esistere o avere un senso senza quei cittadini che ne sostanziano l’esistenza. La verità è che una moltitudine di individui, sempre più in aumento, non si sente più rappresentata da chi è alla guida del Paese e dunque nasce un’estraneazione e una chiusura nei confronti delle istituzioni stesse. Questa chiusura tuttavia non fa altro che aggravare la distanza, perchè senza la voce del popolo e l’espressione della sua rappresentanza al potere, non c’è una vera democrazia partecipativa: resta solo il termine, ma senza significato. Oggi la definizione di impegno civile si è molto ridotta e si limita ad una ristretta élite di persone che, per loro fortuna, hanno tempo e possibilità di dedicarsi alla gestione della cosa pubblica, quasi un volontariato o un gesto di solidarietà. Il senso civico; quel "dovere" spontaneo che deriva dall’uomo come animale sociale; quell’interesse coinvolgente verso lo Stato, che è un bene pubblico, ma è costituito da tutti i cittadini che lo abitano…ormai sono concetti avulsi dalle giornate di molti, troppi individui. Emergono cittadini monadi, senza spinta all’azione, desiderosi di rinchiudersi in quell’angolino di riservatezza del proprio microcosmo relazionale, sostenuti dall’idea che lo Stato sia un’entità astratta, regolata da forze ormai disordinate, confuse e opportunistiche. Non si comprende però che la solitudine e il disinteresse verso il sistema della collettività non fanno altro che esasperare la logica dell’inefficienza e tutto si destruttura sempre di più. Basterebbe ricordare che, come recita il celebre adagio, "l’unione fa la forza" e dunque occorre riappropriarci del sano principio per il quale ognuno ha un suo contributo indispensabile da dare alla comunità. La migliore definizione di "impegno civile" ce la offre Madre Teresa di Calcutta, comprensiva di quella propulsione emotiva che depura il termine dovere dall’accezione di obbligo: "Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno". La società, attraverso il contributo di ciascuno di noi, anche minimo e proporzionale alle nostre reali disponibilità e possibilità, sarebbe un oceano molto meno caotico e dispersivo.
edito dal Quotidiano del Sud

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