Corriere dell'Irpinia

Don Ciotti: corruzione, emergenza nazionale. I candidati indagati restino fuori

“La corruzione è la vera patologia nazionale. Le notizie degli scorsi mesi ci restituiscono un quadro allarmante, basti pensare agli episodi accaduti in Liguria o in Piemonte. E’ il segno che non c’è stato alcun miglioramento all’indomani di Tangentopoli. Ecco perchè c’è bisogno di unire le forze, di uno scatto in più nella lotta alla criminalità organizzata. Diffidate sempre dai navigatori solitari. E’ il noi che vince. Ognuno è chiamato a fare la propria parte”. Lo sottolinea Don Luigi Ciotti, anima di Libera, ospite al Polo dei giovani per presentare la nuova sfida lanciata dalla sezione di Libera Avellino che riparte dopo un periodo di pausa “Tocca a noi – prosegue don Ciotti – moltiplicare le responsabilità e metterci in gioco. Non è accettabile che ci siano periodi di immobilità per un presidio di Libera, bisogna dare continuità alla sua azione”.

Sul difficile momento che vive l’Irpinia, dove due comuni sono stati sciolti per infiltrazioni camorristiche spiega come “Il procuratore antimafia Melillo non ha esitato a definire i rapporti tra politica  e mafia ‘diffusi, disincantati e pragmatici’. E’ un problema serio che impone una riflessione”. Ricorda come “le mafie sono cambiate, sono transnazionali, usano le nuove tecnologie con i boss trasformatisi in manager, i loro traffici e affari hanno valicato i confini, sono diffusi in 5 continenti e 42 nazioni. E’ chiaro che si impone una lettura diversa del fenomeno”. E sull’anomalia di una candidata alla carica di sindaco indagata “Ciascuno decide cosa fare, facendo i conti con la propria coscienza ma è chiaro che se ci si preoccupa del bene comune, se si vogliono garantire trasparenza e onestà bisogna stare fuori da certi giochi”

Si dice preoccupato dei provvedimenti del governo che sembrano andare verso un allentamento dei freni nella lotta alle mafie, mettendo in discussione il ruolo dei magistrati. Sottolinea come la lotta alla criminalità organizzata si combatta estirpandola dalle radici “Non è accettabile che dopo 170 anni la mafia esista ancora. C’è bisogno di un impegno culturale, sociale, educativo ma soprattutto dii garantire giustizia sociale. Poichè la legalità mette radici in  terre fertili di responsabilità, si costruisce sull’uguaglianza e il riconoscimento dei diritti”. Pone l’accento sul valore della collaborazione con le istituzioni, le forze dell’ordine, la politica sui territori “Dobbiamo sostenere il lavoro dei magistrati ma anche le associazioni hanno un ruolo importante. Dobbiamo rappresentare una spina nel fianco se i rappresentanti delle istituzioni non compiono il loro dovere e far sentire la nostra voce. La malattia del nostro tempo è la delega, chiedere agli altri di agire mentre ciascuno deve fare la propria parte. Non è possibile essere neutrali di fronte al male, di fronte alla peste della corruzione”. Ricorda come “l’ultima mafia è sempre la penultima perchè è sempre capace di rigenerarsi ma anche noi dobbiamo rigenerarci. Oggi si assiste ad una percezione diversa del fenomeno famoso, poichè non si spara, si ritiene che i traffici legati alla droga, all’usura, al gioco d’azzardo siano meno diffusi ma non è così, sono più forti e sono ancora più pericolosi. Il rischio è quello di una normalizzazione di tutto ciò che non possiamo tollerare. La mafia non può diventare una delle tante cose che fanno parte della società”.

E sul maglificio Centoquindici passi, bene confiscato alle mafie, che versa oggi in stato di degrado, alla cui inaugurazione volle essere presente lo stesso don Ciotti “Inaugurare i presidi è facile ma bisogna creare le condizioni perchè queste strutture continuino a vivere. C’è bisogno della buona volontà della politica e di concretezza. Il maglificio ‘Centoquindici passi” è un simbolo e i segni sono importanti e parlano. La chiusura di quello spazio è una ferita che interroga ciascuno di noi. Io sono pronto a tornare a Quindici per rilanciare l’attenzione sul maglificio ma ci vuole un intervento dei territori, degli imprenditori, di cittadini e istituzioni”. E ricorda come la Chiesa promuoverà a settembre un confronto sui beni confiscati, su iniziativa di Papa Francesco “per riflettere sulle modalità attraverso cui possono rappresentare un sostegno per famiglie in difficoltà o accogliere associazioni. La confisca deve essere una cosa seria”. Sottolinea come troppo spesso faccia rumore “quella minoranza che non è degna di rappresentare la sacralità delle istituzioni ma la maggioranza ce la mette tutta per essere fedele alla propria missione”.

Tanti i ricordi snocciolati come quel caffè che avrebbe dovuto prendere con Falcone, incontrato due mesi prima a un corso di formazione a Gorizia e il pianto di una donna, la mamma di Antonio Montinaro, ucciso nella strage di Capaci che chiedeva, durante i funerali di Falcone, perchè il figlio non fosse nominato. “Da quelle parole sono nati Libera e la giornata della memoria e dell’impegno Abbiamo voluto che diventasse legge di stato perchè quei nomi restassero”. Ricorda la “rivoluzione portata avanti dalle donne che non vogliono che i loro figli crescano in quella cultura e sono state ricevute anche in Vaticano”. Sottolinea l’importanza di ascoltare i giovani “Non guardiamo i loro percorsi con gli occhi del passato. Sono loro a fare la differenza, a denunciare ciò che non funzione con i loro gesti”. Non ha dubbi don Ciotti “La strada è in salita ma ne vale la pena, si può vincere la battaglia alle mafie”.

E’ Stefano Pirone, tra i fondatori di Libera Avellino insieme a Davide Perrotta, a ricordare nel corso del confronto, moderato da Gianni Colucci, come l’impegno del presidio di Avellino sia quello di “fare da collettore  per mettere insieme forze che altrimenti rischiano di restare da sole, in un tempo emergono con forza le zone grigie anche nella nostra città”. Jole Capozzi di Libera di Pratola Serra sottolinea come l’impegno della società civile debba essere quotidiano “Troppo spesso finiamo per diventare complici della mentalità mafiosa, come quando accettiamo la manipolazione corrotta delle leggi o la violenza verbale e mettiamo da parte l’etica”

E’ il questore Pasquale Picone a sottolineare i sacrifici delle forze dell’ordine e la necessità di una collaborazione diretta dei cittadini ‘Abbiamo bisogno di tutti, di associazioni come Libera che ci mettono la faccia. Le scorciatoie non portano da nessuna parte, questa provincia non è esente da infiltrazioni mafiose ma vi chiediamo di avere il coraggio di collaborare con le forze dell’ordine”. Un appello rilanciato dal comandante dei carabinieri Domenico Albanese che ricorda come “Arte e bellezza sono un viatico per la giustizia”.

Ad emozionare la platea anche gli interventi di Antonietta Oliva, vedova di Pasquale Campanello, che ringrazia Libera e i familiari delle vittime delle mafie: “Abbiamo avuto la forza di raccontare le nostre storie non solo perché volevamo che il ricordo dei nostri cari restasse vivo, ma perchè ci avete insegnato che condividere il dolore può essere importante, può aiutare a indirizzare il bene, che non dobbiamo condannare tutto ma distinguere per non confondere e non voltare le spalle allo stato”. Grazia Ammaturo, figlia di Antonio Ammaturo, anche lui vittima delle mafie, ricorda come “Morire per i propri ideali è inaccettabile in un paese civile. Mio padre era un poliziotto che amava il suo lavoro, stava portando avanti delle indagini sui rapporti tra politica e camorra quando è stato ucciso. I documenti relativi alle sue indagini inviati al ministero sono spariti misteriosamente proprio come è accaduto nel caso di Falcone, Borsellino, Moro”. Sottolinea come “La morte di mio padre resta un mistero. Aspettiamo ancora che venga fatta giustizia. Di qui la necessità di costruire un fronte comune di resistenza e di trasmettere esempi positivi ai giovani”.

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