Corriere dell'Irpinia

Don Ferdinando, sulla strada degli ultimi: si presenta il volume curato dalla diocesi

E’ un omaggio a don Ferdinando Renzulli, indimenticato riferimento della chiesa cittadina, il volume curato dalla diocesi di Avellino che raccoglie le testimonianze degli uomini e delle donne che hanno condiviso con lui un tratto di strada, da don Vitaliano Della Sala a Luigi Frasca del Teatro d’Europa, dal direttore Gianni Festa a Franco D’Ercole. Un omaggio sentito a un uomo che ha dedicato la propria vita agli altri. Un volume che sottolinea fin dal titolo la scelta di campo di Don Ferdinando “Sulla strada degli ultimi”. A introdurre il dibattito  il vescovo Arturo Aiello. A relazionare il vescovo di Ariano Sergio Melillo. Sarà presentato il 10 giugno, alle 20, al Polo dei Giovani.

Parroco di Cesinali e poi della chiesa di San Francesco alla Ferrovia, per anni direttore della Caritas Diocesana di Avellino, Don Ferdinando è stato tra i primi a credere nel potere della cultura per dare un futuro ai giovani, dedicando a loro la propria vita. Un autentico innovatore, capace di comprendere anche la forza dei media per evangelizzare e dialogare con i giovani. Sempre attento alle esigenze delle fasce sociali disagiate, ha fatto proprio lo spirito del Concilio Vaticano II, traducendolo in opere concrete.

Un volumetto, spiega il vescovo “contro la damnatio memoriae che ci perseguita”, che pone l’accento sulla forza della sua lezione che acquista un carattere profetico. “Era un sacerdote proiettato verso il futuro. Lo testimoniano il Murale della Pace realizzato negli anni ’60 nella chiesa di San Francesco, in un momento in cui era impensabile che l’arte potesse mandare un simile messaggio, riunendo in una stessa opera personaggi così diversi tra loro come Fidel Castro e San Francesco. L’arte diventa in questo modo preghiera. Penso anche a progettualità come la Caritas diocesana. Ma sono tante le sue creature che continuano ad essere fortemente vive proprio come il Teatro d’Europa. L’arte teatrale ha un potere straordinario perchè, mentre fotografa la realtà la cambia, potremmo dire che determina più guarigioni degli ospedali. Questo è valido per gli attori ma anche per il pubblico che esce purificato dall’incantesimo teatrale”.

“Chi entra a far parte di una Chiesa – prosegue Aiello – proveniente dall’esterno (è quasi sempre così per i Vescovi), ha maggiori possibilità, scevro da pregiudizi, di leggere tracce del passato prossimo o remoto che hanno interessato quella comunità diocesana ad opera di pastori che vi hanno svolto il ministero della Parola, dei Sacramenti e della Carità. È stato così per Don Ferdinando di cui ho sentito parlare da subito, all’indomani del mio ingresso in Diocesi. La memoria viva dei fedeli unita alla riconoscenza è il primo criterio di lettura: in una cultura, come la nostra, improntata al presente e all’attimo fuggente, risulta controcorrente sentir parlare di un sacerdote defunto da anni di cui si conserva il ricordo. Mi è balzato evidente che Don Ferdinando non era stato dimenticato nell’ammasso disordinato della soffitta della memoria, ma continuava a vivere nel ricordo dei parrocchiani, dei confratelli presbiteri, della città. Il popolo di Dio ha fiuto nell’identificare e conservare figure di presbiteri che si sono contraddistinti per parole ed opere nel cantiere dell’Evangelo e partecipa di una certa qual chiaroveggenza che alcuni non hanno timore di chiamare “infallibilità””

Aiello spiega come “Questa raccolta di testimonianze di figli, amici, collaboratori d’un tempo è un debito di riconoscenza, un piccolo, ma significativo monumento alla memoria, dove, a più voci e con sensibilità diverse, si scolpisce a tutto tondo un ministero di ampie vedute, radicato nella Memoria, ma anche aperto al nuovo che si profilava all’orizzonte che non tutti riuscivano a vedere. Don Ferdinando, un prete con la talare lisa, ma con lo sguardo da profeta, ha camminato per le nostre strade, condiviso le gioie e le ansie dei suoi fratelli, ha guardato a Gesù Crocifisso come alla chiave di volta della storia. Educato secondo le categorie del Concilio di Trento, ha dovuto operare nella sua mente e nel suo cuore una vera inversione con i dettami del Concilio Vaticano II: quando ci lamentiamo per essere al centro di un tunnel nel “cambiamento d’epoca”, dovremmo ricorrere alla testimonianza di tanti preti che hanno salutato con gioia la primavera dello Spirito che il Vaticano II annunciava, ma che hanno dovuto svolgere una difficile, e a volte dolorosa, voltura culturale. Don Ferdinando non è stato cantore dei tempi andati, non è rimasto affezionato al vino vecchio mentre si spillava il nuovo sotto la guida saggia del Papa Giovanni XXIII e di Paolo VI, ma si è aperto a ciò che lo Spirito diceva alle Chiese diventando profeta dei tempi nuovi. Come più volte si sottolinea nei contributi di questo testo, il Murale della Pace al Rione Ferrovia e il Teatro d’Europa a Cesinali costituiscono le due punte di diamante della chiaroveggenza del Sacerdote che ravvisava nell’arte nuova un modo di tradurre Vangelo e Storia che scandalizzò non pochi qui e fuori Diocesi, e nel teatro una forma di dialogo con il mondo come rappresentazione del reale e, al tempo stesso, modalità unica di incidere trasformandolo. Don Ferdinando non ha amato le retrovie sicure, ma è andato avanti aprendo scenari che sembravano allora “azzardati” e che in seguito si sono palesati condivisi e appannaggio di molti. I profeti vivono in un tempo, ma hanno lo sguardo oltre e vedono o intravedono cose che aspettano di maturare, vivono il disagio di essere altrove come sentinelle di albe nel pieno della notte. Tutto questo il Nostro non l’ha vissuto con la presunzione spocchiosa di chi guardi dalla finestra la plebe, ma sporcandosi le mani per le vie della nostra città e a fianco dei poveri che attingevano dalle sue tasche vuote e dalle sue mani bucate. Don Ferdinando è riconosciuto come fondatore della Caritas nella nostra Diocesi dove si passava dall’assistenzialismo ad una presenza fraterna e intelligente a fianco della maggioranza meno fortunata. Con la sua tonaca lisa, mai abbandonata, non scelse il trasformismo di tanti, fu fedele a se stesso e al suo tempo, ebbe il coraggio di presentarsi “datato” eppure così avanti nella “visione”, fuori misura, smisurato”

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