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Don Matteo Zuppi e la sfida dello spopolamento

Foto: Livio Anticoli

di Antonio Manzo

Tra questo immenso gregge e il totalitarismo universale, senza uscita, in cui sta per ingolfarsi la storia, non ci siamo che noi, cristiani, non per fermarlo ma per riceverlo al passaggio”.

Avrà pensato allo scrittore francese Georges Bernanos il cardinale Matteo Zuppi, ambasciatore dei paesi dello spopolamento, quando ha convocato i trenta vescovi di quattordici Diocesi italiane che amministrano la fede in paesi in via di estinzione per effetto di un progressivo spopolamento. Perché mentre la storia sembra ingolfarsi, per le tragedie e le nuove potenzialità del mondo, ci sono i cristiani, per prendere il testimone della staffetta della vita, per dirla con Bernanos. Mentre i paesi si spopolano c’è la lezione di don Matteo Zuppi che con semplicità pastorale parla ai vescovi italiani partendo dall’’esempio di Pianaccio, una borgata dell’appennino bolognese del comune di Lizzano Belvedere dove nacque il famoso Enzo Biagi. “Qui nel periodo invernale – racconta don Matteo – si contano dai quindici ai diciassette abitanti. Don Racilio ha 82 anni, per lui è arrivato in aiuto don Menestrello per tenere accesa la speranza”. Proprio a Belvedere don Matteo ha onorato la beatificacione di don Giovanni Fornasizi, il giovane prete sgozzato dai nazisti ad un passo della montagna dove avevamo compiuto l’eccidio di Monte Sole. “Don Giovanni – raccontò Enzo Baigi – temeva il peccato ma non la morte”. Preti martiri ci sono stati in paesi che non ci sono più. Ma don Matteo non si arrende perché l’anima “non deve invecchiare”, per scegliere “delicatezza, comprensione; non congelare la carità, superare la scorza, reagire positivamente cercando quella bontà inesplosa, non raffreddare la carità”. Ha avuto coraggio don Matteo Zuppi a mettere intorno a un tavolo i vescovi italiani che sfidano l’inverno demografico di paesi dove muoiono in tanti e non nasce più nessuno.

E siccome non c’è vita, né un gregge, secondo la metafora del mandato ai Vescovi coniata da Papa Francesco, don Matteo ha cominciato ad analizzare, significativamente a Benevento accolto da monsignor Filippo Accrocca Arcivescovo, il dovere dell’evangelizzazione tra i pochi che sono rimasti in alternativa ai molti che se ne sono, per mille ragioni, andati via. La terra dei paesi che erano raccolti intorno alla vita delle parrocchie è divenuta un deserto anche per un egoismo vorace e distruttore che ha preso in ostaggio soprattutto la chiesa nel Mezzogiorno. Lì dove c’era il serbatoio religioso di una pietà popolare che ha perfino scomodato i più avveduti storici non solo della Chiesa (si ricorderà per tutti la scuola storiografica di Gabriele De Rosa) oggi non c’è più nessuno. Oggi, se gli storici andassero negli archivi parrocchiali troverebbero, accanto a carte ingiallite, i libri parrocchiali ridotti a poche pagine.

Il tavolo di discussione presieduto dal cardinale Zuppi ha lavorato per due giorni guidato dai vescovi italiani tra i quali monsignor don Pasquale Cascio vescovo di Nusco, uno dei paesi capitale dello spopolamento incalzante. Probabilmente don Pasquale Cascio era l’univo Vedovo ordinato dopo una luna esperienza nelle parrocchie degli Alburni salernitani già spopolate fin dagli anni Ottanta.

Tre anni fa, fu l’acutezza intellettuale del giornalista Angelo Scelzo, già vicedirettore della sala stampa vaticana e un curriculum professionale di tutto rispetto da Avvenire all’Osservatore Romano, a lanciare l’allarme sullo spopolamento del Mezzogiorno e i riflessi sulla evangelizzazione dei paesi frontiera storica della pietà meridionale e oggi sull’elenco dei senza terra. Un richiamo storico con una emergenza pastorale e civile che oggi fa il paio con la famosa lettera del 1948 dei vescovi meridionali di fronte all’Italia povera e disastrata.

Noi abbiamo il dovere di pensare a nuove forme di evangelizzazione che rimettano in piedi il senso della comunità umana prima ancora che pastorale”, ha detto a Benevento don Matteo Zuppi presidente della Cei, “perché non si tratta solo di predicare il Vangelo, o amministrare al popolo i sacramenti se non torna a esserci un senso della comunità fortemente minato dallo spopolamento”. I Vescovi delle aree interne del Paese hanno condiviso l’allarme sviluppando il pensiero del presidente della Cei con la crisi politica, culturale, economica ed etica in cui versa il Paese.

Dobbiamo impegnarci noi e non gli altri e senza alcuna pretesa esclusiva, per far ritrovare a chi è rimasto nei propri paesi un senso alla vita. Non ci interessa la carriera, per parlare al mondo e alla Chiesa di oggi, è qui che il nostro compito con gli effetti dello spopolamento diventa profetico, perché è un impegno che non mette tra parentesi le motivazioni valoriali, pur nella lettura del disarmante dato di lettura della popolazione perché c’è un carico di un’attualità sorprendente è un’umanità esigente, non facoltativa; un impegno civico che riesce a coinvolgere il cuore, le passioni. Pur nelle difficoltà esistenziali, ritroviamo – hanno detto i Vescovi delle aree interne – un grande impegno dei giovani di comunità, di gruppi sociali, di famiglie ospitali con esperienze cariche di socialità e solidarietà”. Sono il nuovo “mondo vitale”, ha detto don Matteo Zuppi, con una sua ricchezza sociale dove i giovani che sono rimasti esaltano ancora l’impegno volontario, sono laboratori e luoghi “caldi” di società civile. È qui che troviamo conferma a una intuizione di don Primo Mazzolari che nei giorni immediatamente successivi al conflitto bellico nel 1943, disse “solo chi si misura nella folla con il proprio cuore e confronta sulla strada e sulla barricata la propria anima può sperare di essere ascoltato”.

Inutile recriminare contro lo spopolamento se l’intelligenza dell’ora, della generosità e del coraggio, si restituisce al popolo la speranza senza nulla chiederle. Il prete dei piccoli centri che si spopolano vede la gente di ogni giorno, facce di galantuomini che lavorano con lui, che vogliono bene alla loro comunità, che prestano la loro intelligenza e fiducia all’impegno della Chiesa.

I Vescovi italiani delle aree interne hanno lavorato già in una commissione di lavoro presieduta da monsignor Mariano Crociata. Don Matteo fa ricorso alla parabola evangelica di Nicodemo (resterà nella storia letteraria l’Elogio che Mino Martinazzoli scrisse sulla figura evangelica) per ricordare ai Vescovi che “la potenzialità rivoluzionaria e destabilizzante delle parole e dei comportamenti di Gesù” non ammette diserzioni laddove le radici più vere delle Chiese italiane sono un “laboratorio civile”. “L’unico Sinodo celebrato a Bologna piccolo fu Sinodo della montagna nel quale l’unica grammatica sinodale fu citata con la consapevolezza dei problemi veri. Ad esempio, cosa facciamo quando i preti non ce la faranno più? Ricorreremo ai diaconi? Ai viri probati? Alle donne per la gestione delle parrocchie? È saltato il rapporto un prete, una comunità. La dimensione affettiva dei piccoli centri è segnata dal campanilismo. È una grande rete che può diventare antenne ecclesiali per educare alla corresponsabilità. “Dobbiamo compiere anche altri atti. Ad esempio – chiede don Matteo ai Vescovi – con i fondi dell’otto per mille quante persone possiamo assumere giovani da coinvolgere con la giusta retribuzione i nostri oratori?”. Può cominciare anche così la sfida al ripopolamento delle zone interne della Chiesa italiana facendo leva sull’accoglienza della comunità: analisi concreta sullo spopolamento, ricette possibili per riconsegnare la speranza alle piccole comunità.

*immagine di copertina di Livio Anticoli

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