Corriere dell'Irpinia

Eleonora Pimentel Fonseca, voce di libertà e martire della Repubblica

di Rosa Bianco

Con questo mio excursus, voglio ricordare il martirio di Eleonora Epimentel Fonseca, che il 20 agosto del 1799, vittima della reazione clerico-borbonica, venne impiccata a Napoli in Piazza del Mercato, giacché si era schierata senza esitazioni con la Repubblica Partenopea. Non sarà dimenticata, come non saranno dimenticati tutti coloro che hanno combattuto contro l’oscurantismo e per la libertà.

“Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo”

Io la voglio rammemorare con un pensiero del grande meridionalista Giustino Fortunato, tratto dal suo libro “I giustiziati del 1799”:

(…) Parlo di quella vera ecatombe, che stupì il mondo civile e rese attonita e dolente tutta Italia: l’ecatombe de’ giustiziati nella sola città di Napoli dal giugno 1799 al settembre 1800 per decreto della Giunta Militare e della Giunta di Stato. Il mondo, e l’Italia specialmente, sa i nomi e l’eroismo di gran parte di quegli uomini, sente ancor oggi tutto l’orrore di quelle stragi, conosce di quanto e di quale sangue s’imbevve allora quella Piazza del Mercato, in cui al giovinetto Corradino fu mozzo il capo il 29 ottobre del 1268, e il povero Masaniello tradito e crivellato di palle il 16 luglio del 1647; ma pur troppo, ignora ancora tutti i nomi di quei primi martiri della libertà napoletana! (…)

 

Eleonora Pimentel Fonseca nacque a Roma il 13 gennaio 1752, figlia di Clemente e Caterina Lopez de Leon, appartenenti a un’antica famiglia spagnola trasferitasi in Portogallo. Fin da giovane, Eleonora dimostrò un talento naturale eccezionale, alimentato da una formazione culturale di alto livello. La Napoli della seconda metà del XVIII secolo, con il suo fermento culturale e il dibattito tra tradizione classica e nuovi saperi scientifici, offrì alla giovane un percorso intellettuale illuminato e cosmopolita. Tra i suoi primi maestri si annoverano G.V. Meola, che la istruì in greco, latino e storia antica, e F.M. Guidi, che la introdusse ai principi della matematica.

 

Eleonora si distinse anche come poetessa, pubblicando a soli sedici anni “Il tempio della gloria”, un epitalamio per le nozze di Ferdinando IV e Maria Carolina d’Austria, firmandosi con lo pseudonimo anagrammatico di Epolnifenora Olcesamante. La sua produzione poetica le guadagnò l’ammirazione di figure illustri come Pietro Metastasio, che riconobbe il valore del suo lavoro. Durante questo periodo, Eleonora iniziò anche una corrispondenza con Voltaire, che contribuì ulteriormente alla sua formazione intellettuale.

 

Nel 1778, Eleonora e la sua famiglia ottennero la cittadinanza del Regno di Napoli e nello stesso anno sposò Pasquale Tria de Solis, appartenente a una famiglia della piccola nobiltà napoletana. Il matrimonio si rivelò infelice: dopo la nascita e la morte prematura del figlio Francesco e due gravidanze interrotte, Eleonora subì maltrattamenti che minarono la sua salute e la costrinsero a chiedere la separazione nel 1784. Nonostante le difficoltà, Eleonora continuò a pubblicare, tra cui i “Sonetti di Altidora Esperetusa in morte del suo unico figlio” (1779), considerati tra i suoi migliori componimenti per l’intensità emotiva e l’assenza di retorica.

Negli anni successivi, Eleonora partecipò alla vita culturale napoletana, tra cui l’inaugurazione della Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere nel 1780. Tuttavia, la sua vita familiare continuava a deteriorarsi, culminando nella separazione definitiva dal marito. Nel frattempo, la sua attenzione si rivolse agli eventi della Rivoluzione Francese, che seguiva con interesse. Fu durante questo periodo che Eleonora iniziò a frequentare figure politiche come Antonio Giordano e Francesco Cestari e il suo nome comparve, per la prima volta, nei documenti giudiziari nel 1794-1795.

Nel 1799, Eleonora giocò un ruolo di primo piano nella proclamazione della Repubblica Napoletana, partecipando attivamente alle riunioni del comitato di patrioti e divenendo la principale cronista del Monitore napoletano.

Nella breve vita della Repubblica la Fonseca si ritagliò uno spazio suo proprio divenendo con il Monitore napoletano la più celebre “cronista” . A Napoli, infatti, come in tutti gli altri Stati italiani liberati dai Francesi subito nacque una nuova stampa politica della quale il Monitore fu l’esemplare più notevole.

L’annuncio della pubblicazione del Monitore napoletano fu dato tramite un manifesto non datato, che C. De Nicola collocava al 29 gennaio. Questo manifesto informava che il giornale avrebbe riportato tutte le operazioni del governo. Fin dal primo numero, la Fonseca si distinse come l’unica autrice e figura centrale del giornale, scrivendo la maggior parte degli articoli e raccogliendo notizie partecipando alle sedute del governo e agli eventi repubblicani. Attraverso il Monitore, affrontò con un linguaggio semplice e diretto vari problemi cruciali dell’epoca, mostrando una notevole indipendenza di pensiero.

La Fonseca riteneva essenziale l’educazione politica del popolo e promosse diversi strumenti di propaganda, come la pubblicazione in dialetto napoletano e missioni civiche simili a quelle religiose. Quando l’armata francese si preparava a lasciare Napoli, inizialmente non credette alle voci sfavorevoli, ma poi esortò il popolo a difendersi da solo e a mantenere la libertà.

Nel corso degli eventi drammatici degli ultimi numeri del giornale, Fonseca riportò solo notizie ufficiali, inclusa l’illusione di vittorie repubblicane. Dopo la capitolazione del 19 giugno e il ritorno del re il 30 dello stesso mese, fu inclusa nella lista dei patrioti condannabili a morte, ma non è certo se fosse presente in essa. Nell’agosto del 1799, fu imprigionata a bordo delle navi nel porto e, nonostante l’autorizzazione a esiliarsi, fu costretta a restare a Napoli e fu incarcerata nella Vicaria.

Il processo, condotto dal rigido consigliere V. Speciale, si concluse con la condanna a morte per impiccagione il 17 agosto. Eleonora chiese di essere decapitata, ma la richiesta fu respinta. Il 20 agosto 1799, fu condotta al patibolo, sulla piazza del Mercato, dove per ultima salì sul patibolo, “vestita di bruno, colla gonna stretta alle gambe” e giustiziata, insieme ad altri sette condannati, tra i quali G. Colonna, G. Serra, il vescovo M. Natale.

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