Corriere dell'Irpinia

Giffoni Film Festival, intitolata al sociologo De Masi la sala coworking

Oggi dedichiamo a Domenico De Masi questa bellissima Sala dell’Innovazione dove in questo momento 40 giovani di ogni parte d’Italia studiano come risolvere problemi di aziende”. Così Claudio Gubitosi, ideatore e fondatore del Giffoni Film Festival, avvia la cerimonia di intitolazione di una della sale della Multimedia Valley, la sala coworking di Innovation Hub al sociologo mancato un anno fa. A scoprire la targa, il sindaco di Giffoni Valle Piana, Antonio Giuliano, insieme al leader del M5S, Giuseppe Conte.

Nella sala appena intitolata al professore, ai ragazzi di Innovation Hub si unisce una folta schiera di amici di De Masi. “Ci manca molto Mimmo – racconta Gubitosi – È stato una scuola di vita: siamo stati 45 anni insieme, non ci siamo mai stancati di sorriderci, di parlarci, di dedicarci a delle riflessioni”. E rievoca il loro ultimo incontro: “Quando sono stato a Ravello, l’anno scorso, e ci siamo salutati nella piazza, come mai aveva fatto prima, mi ha dato non so quanti baci e mi ha più volte detto ‘ti voglio bene’. Poi andò via”. Dall’ultimo al primo incontro, quando De Masi “oltre 40 anni fa, arrivò da Sant’Agata dei Goti con la motocicletta per scoprire cosa accade a Giffoni nel corso del festival”.

Diversi i ricordi nel corso della cerimonia introdotta dal responsabile delle relazioni istituzionali del Giffoni, Davide Russo: “Oggi – dice – con la sua ironia avrebbe riso di noi”. Diversi gli interventi nel ricordo del sociologo. A iniziare da quello dell’ex deputato Ermete Realacci, presidente onorario di Legambiente: “Mimmo amava molto Giffoni, è difficile immaginare che lui non ci sia più”. E ancora: “Io distinguo le persone da tante cose. Soprattutto, tra quelli di cui ti ricordi perché hanno detto qualcosa e quelli di cui non ti ricordi perché non hanno detto nulla. Si poteva anche non avere simpatia per Mimmo, ma non si poteva ignorare la sua intelligenza. Sono sicuro che anche quest’anno si sarebbe divertito a venire qui”.

Tra il ricordo di un giffoner della Impact, più volte negli anni del festival a confronto con De Masi, e quella di un suo ex allievo, è pure l’ex presidente del consiglio, Conte, a raccontare dell’amicizia che li legava: “Ho conosciuto De Masi tardi in ragione dell’impegno politico, e l’impegno mio politico non è molto datato – sorride – Quando l’ho conosciuto è stata per me una grandissima scoperta”. Conte ricorda “la curiosità intellettuale di parlarsi, di raccontarsi, di spaziare da un tema all’altro. Con lui parlavo di tutto – confessa – Lui mi sorprendeva con la sua curiosità. Studiava di notte, era vorace. Ma non era solo uno spirito intellettuale astratto, aveva una concretezza incredibile. Aveva due doti fondamentali: l’intelligenza acutissima e la dote dell’ironia”. E ancora: “È stato un prezioso amico per me. Ci ha dato una mano incredibile per avviare la scuola di formazione del M5S, con estrema generosità”. Infine, come rivolgendosi a lui direttamente: “Mimmo un abbraccio da parte mia e di tutta la comunità del M5S”.

Commosso il ricordo della moglie di De Masi, Susi del Santo: “Non sono molto emotiva, ma in questa circostanza e in questo contesto è stata molto emozionante la scopertura della targa”. E, a proposito di Giffoni, del Santo parla dell’amicizia e della “grande affinità con Claudio. Sono stati come fratelli visionari, con un’affinità elettiva fortissima, un’amicizia – dice rivolgendosi a Gubitosi – che vi portava a stare a volte ore a telefono a confrontarvi, a sostenervi a vicenda. Mimmo aveva una curiosità per tutto ciò che è manifestazione giovanile, in questo contesto lui era veramente felice. Credo che non sia mancato neanche un anno.” Sisi del Santo lancia un messaggio ai giffoner raccontando di una intervista rilasciata dal marito circa trenta anni fa a Gigi Marzullo. “Lui – dice – aveva una sessantina di anni e Marzullo gli chiese se le ali si hanno solo da giovani. Mio marito disse di no, le ali crescono con l’età. Ecco, il mio augurio ai giovani di Giffoni è che queste ali diventino immense”.

Natalia: Giffoni, fabbrica di futuro

Il ruolo dei social network. Il peso delle piattaforme on demand. La direzione delle produzioni italiane. L’incontro tra il direttore di Ciak Flavio Natalia e i ragazzi di #Giffoni54 si muove lungo tre binari con la medesima stazione d’arrivo e partenza: il cinema.

Nella Sala Blu della Multimedia Valley, davanti alla sezione Impact, il giornalista romano alla guida della più prestigiosa rivista di settore parte da una premessa. Semplice semplice: “La casa del cinema è la sala. Non esiste altro luogo in cui possa risplendere meglio“. La magia e la potenza del cinema sono lì. Nell’esperienza collettiva di visione. Nelle relazioni umane di condivisione. Tutte e due, lì. Sotto lo stesso (grande) schermo.
Fortunatamente” annota Natalia, laurea in lettere moderne e un lungo passato a Sky con ruoli di vertice, “ il cinema italiano sta tornando in sala. Il merito è sicuramente dei film-evento, che però sono ancora pochi per risollevare le sorti di un settore che dopo il covid ha vissuto una crisi profonda“. Natalia prosegue: “Il merito è anche e in modo particolare della qualità delle produzioni. Una scelta che ha premiato. Una scelta vincente“. E’ questa la strada maestra per il direttore di Ciak. Un strada che percorre, approfondendola, insieme ai giffoner: “C’è stata una impostazione nuova che ha fatto la differenza. Se non ti inventi qualcosa di nuovo, nelle storie da trattare e nel come trattarle, non vai da nessuna parte. Nel cinema la routine non può esistere più. Autori e registi nuovi hanno un effetto contagioso positivo su quelli storici”. Le giovani generazioni sono linfa per il mondo della celluloide.
Natalia ne è convinto e chiarisce il suo pensiero: “Barbie, Oppenheimer e C’è ancora domani della Cortellesi sono i film più visti. Parlano di tematiche forti, avvertite come prossime dai ragazzi ma niente affatto pensate e realizzate per loro“. È questo il segreto (del successo) per il professionista capitolino, che chiosa: “I prodotti nati per i giovani non piacciono ai giovani“. Punto e a capo. Si volta pagina e argomento. Tocca ai social network. “Hanno cambiato non sempre in modo positivo il cinema,
che non è l’unico settore a subirne gli effetti” sottolinea Natalia. “I social hanno il merito di amplificare i messaggi, di costruire comunità e reti di persone. Hanno il potere, attraverso la condivisione di recensioni positive, di portare tanta gente nelle sale. Sono un veicolo prezioso per trasmettere idee e scambiarsi progetti. Detto questo” taglia corto il direttore di Ciak “non tutte le storie possono essere raccontare in pochi minuti“. Giffoni festeggia quest’anno il suo cinquantaquattresimo compleanno. Oltre mezzo secolo di storia dedicato per intero alle giovani e giovanissime generazioni.
La capacità di Giffoni di creare energia e speranza mi colpisce sempre molto” afferma Natalia. “E’ una dote che manca alla nostra nazione. Anche il cinema ha questo potere. Giffoni e il cinema sono officine di speranza, di futuro, di sogni“.

Kensuke’s Kingdom, dalla letteratura al film

Nella Sala Sordi alle 10 e in replica alle 17, gli Elements +10 hanno visto il film d’animazione KENSUKE’S KINGDOM (UK, Lussemburgo e Francia, 2013) diretto dai registi Kirk Hendry Neil Boyle. Il film è prodotto da Lupus Films (Gran Bretagna) e distribuito a livello internazionale da Cinema Management Group (USA).

 Michael, a bordo di una barca a vela insieme alla famiglia, viene travolto da una tempesta insieme alla sua cagnolina Stella. I due amici inseparabili si ritrovano su un’isola remota del Pacifico dove lottano per sopravvivere. Improvvisamente però, Michael scopre di non essere solo: ad abitare l’isola c’è Kensuke, un anziano giapponese che ha scelto di ritirarsi dal mondo degli uomini dopo aver perso la sua famiglia nell’orrore nucleare della Seconda Guerra Mondiale.

KENSUKE’S KINGDOM è un film d’animazione che si distingue per la sua profonda esplorazione del rapporto tra l’uomo e la natura incontaminata. Basato sul celebre romanzo di Michael Morpurgo, il cuore del film risiede nel delicato e complesso rapporto che si sviluppa tra Michael e Kensuke. Inizialmente diffidente e riservato, Kensuke rappresenta un ponte tra l’umanità e la natura, vivendo in perfetta armonia con l’ambiente circostante. La sua conoscenza della flora e della fauna dell’isola, acquisita in anni di solitudine, è un tributo alla capacità dell’uomo di adattarsi e rispettare la natura.

La natura incontaminata dell’isola è rappresentata con una bellezza visiva mozzafiato, facendo emergere il contrasto con il mondo moderno da cui Michael proviene. Attraverso il loro legame, il film esplora temi di sopravvivenza, resilienza e riscoperta di se stessi in un ambiente naturale. Michael, inizialmente spaventato e smarrito, impara da Kensuke non solo le abilità necessarie per sopravvivere, ma anche una profonda lezione di rispetto per la natura.

Kensuke, da parte sua, è un personaggio complesso e toccante. La sua scelta di isolarsi, dopo aver perso la famiglia a causa della bomba atomica, riflette una profondissima ferita interiore e un rifiuto del mondo moderno, colpevole di tanta distruzione. Tuttavia, l’arrivo di Michael rappresenta per lui un’opportunità di riconnettersi con l’umanità e di trovare una nuova speranza. Un’opera commovente e profonda che cattura il cuore dello spettatore, ricordandoci che, anche nei momenti più bui, la connessione con la natura e con gli altri può offrire una via verso la guarigione e la speranza.

Ospite in sala due produttrici del film che hanno risposto alle domande dei giovani giurati che, apprezzando il film, hanno chiesto se ci fosse l’eventualità di un sequel. Questo ha dato modo ai produttori di rivelare come nella prima bozza della sceneggiatura era previsto che Michael, diventato adulto, lavorasse sull’isola, proteggendone flora e fauna. Tuttavia per via dei tempi lunghi che avrebbe richiesto realizzarla, questa parte è stata cancellata. Il libro da cui il film è tratto – hanno spiegato i produttori – e molto conosciuto e amato in Inghilterra dove viene letto soprattutto nelle scuole.

I giovani giurati hanno anche apprezzato la tecnica d’animazione del film, una tecnica ibrida che combina elementi di animazione tradizionale e digitale, creando un effetto visivo unico. L’animazione tradizionale è impiegata per i disegni dei personaggi, dando loro una qualità artigianale e un’espressività che richiama i classici dell’animazione. L’animazione digitale, d’altra parte, è utilizzata per creare i suggestivi sfondi e gli ambienti naturali dell’isola. Questa tecnica consente una maggiore profondità di campo e un’illuminazione dinamica, che fanno risaltare la flora e la fauna in tutta la loro vibrante bellezza.

Katia Serra: calcio femminile, vinti tanti pregiudizi

Katia Serra chiude la penultima giornata della prima edizione di Giffoni Sport, in un bellissimo incontro con i ragazzi racconta della sua carriera, riproduce la sua famosa telecronaca della finale dell’europeo di Wembley del 2021 ed affronta temi importanti come la parità di genere.

In merito a quest’ultima, Katia ha raccontato delle differenze nel trattamento della nazionale femminile rispetto a quella maschile: “Se oggi penso a quando giocavo io in nazionale, che ci davano le divise degli uomini, che non ci davano un euro e se mi facevo male dovevo pagarmi io stessa le cure. Oggi invece siamo qui a parlare di una nazionale che andrà a fare un europeo e che viene trattata come la nazionale di Spalletti. É un traguardo

Bolognese di nascita, Katia ha parlato della splendida annata del suo Bologna, rivelando i fattori di questa stagione così strepitosa: “Col Bologna di quest’anno andavi allo stadio e ti divertivi, perchè la squadra trasmetteva tanta emozione. Dava sempre tutto per la maglia e faceva divertire. E io come tutti mi sono tanto divertita. E credo che questo sia stato importante per i grandi risultati di questa stagione.

Parlando invece di cosa potrebbe fare il calcio femminile per crescere sempre di più, l’ex calciatrice ha evidenziato la necessità di crearsi un’identità propria: “Nei club, e ormai anche in federazione, si seguono le orme del calcio maschile anche se è una cosa completamente differente per tradizione, storia e cultura. E questo è un grande freno all’evoluzione che questo sport potrebbe avere. […] Per arrivare alla parità assoluta il percorso è lungo: alle olimpiadi oggi c’è il 48% di donne e il 52% di uomini quindi abbiamo raggiunto una prima parità, ma ci sono voluti 134 anni. Un altro cambio che deve avvenire ad esempio è quello sul modo in cui viene trattata la donna nei giornali di contenuto sportivo: troppo spesso quando si scrive della donna si parla prima dell’estetica e poi della prestazione.

Rispondendo alle domande degli ambassador, Katia ha parlato del suo rapporto con i social. L’ episodio che ricorda con più dispiacere è avvenuto dopo una telecronaca fatta nella partita che ha sancito la mancata promozione del Pisa in Serie B, di qualche anno fa: “i tifosi pisani per la mancata promozione in B mi hanno insultato moltissimo, con cose indicibili. Anche se io non avevo fatto niente. Lo hanno fatto perché mi hanno identificata come punto debole con cui prendersela. Come l’ho superata? Mettendomi in discussione: prima di tutto ho riguardato la partita per capire se avessi detto qualcosa di male, ma così non era. A quel punto ho accettato il fatto che era una reazione che non potevo controllare. E ora che i social sono ancora più presenti ci sono ancora più situazioni del genere. Quindi è importante darci il giusto peso, perché non sono lo specchio della vita reale.

Assieme a Katia, gli ambassador hanno anche vissuto un momento che difficilmente dimenticheranno. La telecronista ha messo in scena la telecronaca che l’ha resa celebre, quella della vittoria italiana agli europei del 2021, su cui ha prima speso qualche parola: “la finale di Wembley la seguivo con tutto il corpo, non solo con la voce. Era un’occasione storica perché non era mai successo che una donna commentasse la finale degli europei. E io ho sempre pensato che quella partita sarebbe stato il mio bivio su questa carriera da commentatore. E infatti… SI SI SI CAMPIONI D’EUROPA IL CIELO GRIGIO DI WEMBLEY DIVENTA AZZURRO. É stato qualcosa di talmente speciale che non potrò mai dimenticare.

Nel presentare il suo libro “Una vita in fuorigioco”, di cui gli ambassador hanno potuto apprezzare un estratto, Katia ne ha raccontato la nascita: “L’idea del libro nasce perché sono stata cercata dopo Wembley a dire il vero. E quando sono stata cercata il primo approccio è stato ‘in quanto giornalista, vorremmo che tu scrivessi di qualcuno’. Io però ho spiegato che non sono giornalista e che non avevo nessuna intenzione di diventarlo, motivo per cui non avevo nessun interesse a farlo. Poi però hanno scoperto il mio background allora hanno cambiato idea e mi hanno fatto raccontare di me stessa. […] Dopo che ho deciso di scrivere ci sono voluti mesi intensi. Mi svegliavo di notte con l’ispirazione e mi mettevo a scrivere. É vero quando si dice che la scrittura è creativa, ve lo posso confermare.”

 Monica Rametta: la sceneggiatura non è un film, necessarie creatività e visioni

Lavorare ad una sceneggiatura con una grande professionista del settore, un sogno che si avvera per i ragazzi della sezione +18 di #Giffoni54.  Il workshop con Monica Rametta ha aperto loro mondi inattesi e tanti spunti di lavoro e di riflessione.

Una delle più grandi sceneggiatrici italiane, impegnata sia nel cinema che in televisione. Autrice di diversi successi televisivi, tra cui: Io sono Mia, la serie Tutti pazzi per amore, La compagnia del cigno, Sei donne e La vita che volevi. Ha scritto film, tra gli altri, per Ivan Cotroneo, Pappi Corsicato, Marco Puccioni.

Ma il suo amore per la scrittura con gli anni è cresciuto, al punto da dedicarsi alla stesura del suo primo romanzo. Da poco in libreria, Roma era Buia edito da HarperCollins, racconta la storia di una quindicenne alle prese con il suo primo amore e con una città immersa nel difficile clima politico del 1978.

Con una sala attenta e, soprattutto, partecipativa ha analizzato alcuni brani del suo libro, tentando di individuare i codici e gli stili possibili per trasformarli in una vera e propria sceneggiatura.

Questo libro diventerà un film, mi piacerebbe condividere con voi alcune riflessioni per scegliere la scena di apertura, ma anche per comprendere che tipo di indirizzo dare”.

Il terrorismo, l’omosessualità, la diversità, la vergogna, il coraggio, il dolore. C’è una grande casa sullo sfondo, quella in cui Marina vive, assieme a suo padre, e che – man mano – affonda con loro e con le loro vite. Un racconto che appassiona, ma che si trasforma anche in una grande occasione per imparare.

“Un libro non è una sceneggiatura, bisogna scegliere cosa portare in video, altrimenti si rischia di annoiare. Tradurre in scena un pensiero è sempre una cosa complessa, ma sono tanti i modi possibili. Truffaut usava la voce fuori campo, ma anche un sogno può rivelarsi utile. Tutte le scene di un film sono collegate e si aiutano l’una con l’altra. Sono tante le cose che possono cambiare o tornare in aiuto, un personaggio piccolissimo nel romanzo, ad esempio, potrebbe aspirare ad un ruolo da coprotagonista. La sceneggiatura richiede creatività e visioni”.

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