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Giustizia e dintorni: la prima regola? Difendersi dal processo

di Gerardo Di Martino°

Toti docet. Ma anche Del Turco, Cota, Mannino, Frisullo, Errani, Mastella, Alemanno, Strano, De Luca, Margiotta, Cocchi, Mauro Mori, Obinnu, Cioni, Biagi, Conte, Capua, Venafri, Ceraso, D’Alia, Graziano.

Potrei continuare all’infinito. Sono cittadini liberi che al momento della conoscenza con il procedimento penale ricoprivano cariche pubbliche. Non solo politici ma anche dirigenti, tanti Sindaci, Presidenti di Regione e Ministri. Più o meno sfortunati. Perché molti di questi anche ristretti agli arrestati domiciliari, nell’attesa.

Tutti assolti, dopo anni ed anni ed anni di bastonate pubbliche e autodafé. Addirittura Incalza assolto per sedici volte. A questi dovrei aggiungere “di diritto” Mori, Contrada, la famiglia Cavallotti e l’esercito di sconosciuti che, seppure non politici, hanno condiviso con i primi la distruzione della propria persona, delle famiglie, dei patrimoni.

La vita cancellata in un attimo, quello in cui arrivano e ti arrestano o ti consegnano l’avviso di garanzia o ancora ti sequestrano ogni bene. Tutti uniti in una triste parabola, dalla gogna all’oblio.

Una cerimonia pubblica, sempre la stessa, facente parte della nostra trentennale tradizione, in cui, coram populo, viene eseguita prima la penitenza e poi la condanna, decretata da un tritacarne, la vera fase del giudizio, che non è più quella affidata ad un Tribunale o ad una Corte ma agli Organi dell’Investigazione, inaudita altera parte.

Hai voglia a dire che ci si difende nel processo. Si, certo. Ma se lo sai fare e ne hai le possibilità, la vera difesa è dal processo. È il sistema, bellezza!

Non è un caso che oggi abbia aperto con il Presidente della Regione Liguria Giovanni Toti. Fatto a brandelli, come al solito accade nella prime due settimane dopo l’arresto, non ha mollato, è rimasto lì, in carica, non si è dimesso.

E con un colpo di scena l’altro ieri ha fatto la mossa, almeno da me tanto attesa, quella del cavallo, uscendo dall’angolo mediatico-giudiziario in cui vengono confinati tutti, ma proprio tutti quelli che incrociano, ahiloro – ma anche ahinoi – la stessa sorte. Ha consegnato la sua linea difensiva ai mezzi di informazione, prima che ai suoi accusatori. Con una scelta significativa. Finalmente! Così si fa.

I pm genovesi, invece, se ne sono subito lamentati: “Sconcertante averla letta quand’era già pubblica”, hanno esclamato. Sconcertante cosa? Dopo averlo marinato per bene con salvia e limone, ed averlo grigliato a fuoco lento con un pizzico di sale, sconcertante sarebbe stato il contrario.

Ci si difende proprio così, invero, tra le mura nemiche di un Paese dove i processi si celebrano sui mezzi di informazione e dove il mondo intero, prim’ancora dell’interessato, conosce pedinamenti, intercettazioni, conversazioni e segreti sulla scorta dei quali si acclama la privazione di un bene supremo, inviolabile ed intangibile, come la libertà.

Perché non si dimette? Si è detto. E perché dovrebbe? Rispondo io. Se la legge lo consente e l’Ordinamento non pone limiti, anzi non prevede alcuna causa di decadenza dalla carica in quanto si ritiene, evidentemente, che l’Ente possa continuare a funzionare senza fratture, perché dimettersi?

Fino a quando le norme e la coalizione di governo glielo permetteranno, rimane dov’è. E bene fa. Visto che la presunzione di innocenza, vero baluardo della legalità, non può essere certo piegata ai voleri dell’ordito mediatico-giudiziario, men che mai in una fase preliminare.

La domanda è affatto diversa, allora: perché non giocare al medesimo gioco con le stesse regole?

Da quando è stata eliminata la guarantigia suprema, l’immunità del secondo potere, quello politico e di governo (cd. esecutivo), rispetto al terzo, quello giudiziario, l’indipendenza e l’autonomia dell’uno rispetto all’altro è certamente garantita alla magistratura. Non così allorché siano Parlamento, Governo e Politica ad essere nel mirino di quest’ultima. E la democrazia non può certo demandare alla magistratura anche la decisione di chi può e chi no.

Per come è strutturato il sistema, se al tintinnare di manette, anzi solo sentendone in lontananza lo zufolare, ci si dimette e si tace nell’attesa della Giustizia, si potrà solo vedere la fine, non solo e non tanto dei processi, per quanto, e sfortunatamente, della propria vita.

Toti docet.

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