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Giustizia e dintorni: nascere e morire, da noi decide lo Stato

di Gerardo Di Martino

Ho da sempre provato un certo trasporto nel discutere o scrivere di queste due situazioni. Forse perché meglio descrivono e connotano la vita, non solo animale, ma anche vegetale, persino cosmica.         Concedetevi un attimo.

 Non solo nel nostro mondo ma addirittura nell’intero universo ciò che sicuramente si verifica – senza alcun ragionevole motivo che possa spiegare l’accadimento, tra l’altro – non è la vita, ma la nascita e la morte.

 Da qualunque parte si cominci l’osservazione, in qualunque modo la si pensi, è indiscutibile che questi due eventi coesistano in tutto e su tutto, finanche a prescindere da tutto: come tra le stelle ed i pianeti, così tra gli esseri viventi, di qualunque tipo, si nasce e si muore, perbacco!

 Eppure in Italia queste due situazioni, anzi pre-condizioni, diventano terra di conquista dell’Amministrazione pubblica. Come se lo Stato possa decidere per noi e per la Natura.

Così, il divieto universale di ricorrere alla maternità surrogata, dopo essere stato approvato alla Camera, ha mosso un ulteriore passo ricevendo, prima della chiusura estiva, l’ok in Commissione al Senato.

Dall’altro lato, negli stessi giorni, anche la morte anzi, la possibilità di scegliere se morire in tutte quelle situazioni in cui, non solo la scienza e la medicina non forniscono più risposte (al nostro attuale livello), ma la persona avverte la vita come qualcosa di intollerabile, è stata affrontata dalla Corte costituzionale che l’ha, di rimbalzo, ripassata al Governo.

  Dopo aver stabilito, in motivazione e nel silenzio di tutti, che non c’è differenza tra chi già vive grazie ai trattamenti di sostegno e chi, invece, pur non essendone ancora dipendente, lo sarà – principio già di per sé gigantesco al cospetto del nostro modo di agire e ius dicere, nonostante la sua evidente banalità – la Corte si è spogliata della questione.

 I giudici hanno ritenuto che il quesito proposto aveva come conseguenza ultima l’implicito riconoscimento, da parte dell’Ordinamento, di un’ulteriore e più specifica forma di “dolce morte” la cui legalizzazione, sempre secondo la Consulta, non rientra tra i suoi poteri ma spetta soltanto al Parlamento, a chi è stato eletto e per ciò solo è investito della necessaria sovranità per farlo.

 Vero!

 Infatti nessuna Comunità può accettare il trasferimento in capo allo Stato della possibilità di decidere della vita e della morte di ciascun consociato.

 Come fosse una questione di altri, burocratica, anziché una scontata determinazione di chi gode, nel concreto, di due delle più semplici e basilari condizioni esistenti in Natura: decidere se mettere al mondo un bambino, anche con il ricorso all’attuale soglia di progresso, ovvero stabilire di porre fine ad una vita ritenuta inutile, dolorosa ed insopportabile, perché “non più degna”.

Si narra, sul punto e da tempo immemore, che il sazio non creda al digiuno…

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