Corriere dell'Irpinia

Giustizia e dintorni: siamo liberi? Anche se non possiamo morire?

di Gerardo Di Martino *

Oggi vi voglio portare nel mondo delle libertà. E per farlo non posso non partire da quella regina, sistematicamente negletta. Di qualunque cosa ne apprezzi l’intimo valore fintanto che non ce l’hai. Chi lo diceva? Bah. Vabbè, comunque aveva ragione.

Dopo aver subito la nascita, senza nemmeno la garanzia di poter scegliere dove, quando e come, possiamo almeno mettere il punto e morire? Sembrerebbe proprio di no. O sei nelle condizioni di suicidarti, oppure la malattia ti imprigiona e sei fritto. Direi – se non fosse un’espressione troppo forte che si mescola e si amplifica con il dolore dei familiari – fortunato chi ce la fa. A morire, ovviamente.

Queste sono questioni ad alto gradiente, involgono interessi diffusi e contrapposti, dicono i dotti. Io partirei da quelli minimi, da sempre vessillo di Chiesa e Clero.

 Ma se la politica non decide, qualcuno dovrà pur farlo, visto che sono tanti, troppi gli amici che soffrono senza nemmeno poter muovere un dito e premere un pulsante rosso con su scritto “STOP”.

 Ecco qua. A fronte dell’incapacità delle nostre forze politiche di decidere, la questione è stata rimessa, nuovamente, alla Corte costituzionale. Ogniqualvolta si tratta di decidere, il Parlamento non decide. E la palla passa ai giudici. Come se vivere o morire sia una questione normativa e come se la libertà di ciascuno possa essere affidata, non ai nostri incaricati di decidere, ma al “credo” di quindici (ma pure diciassette) concittadini-giudici.

Questa volta però si va al cuore. Oggi in Italia, sempre in forza di un intervento delle Corti, si può decidere di morire solo laddove ricorrano 4 condizioni: la persona malata deve essere in grado di autodeterminarsi; avere una patologia irreversibile con prognosi infausta; la malattia deve causare sofferenze intollerabili; bisogna che sia sottoposta ad un trattamento di sostegno vitale.

Su quest’ultimo punto si è riaperta la discussione: si è liberi di morire anche se malati, con sofferenze atroci e prognosi infausta, ma non sottoposti a trattamento di sostegno vitale?

 E perché i primi (sottoposti a sostegno vitale) possono godere di una libertà il cui esercizio è precluso ai secondi? Entrambi soffrono atrocemente e non hanno vie di uscita. La loro malattia arriva dove la scienza non può. Epperò la libertà si atteggia a condizione, schiavizzata dal caso: essere attaccati ad una macchina. Se non ce l’hai, non puoi nemmeno morire. Così vuole lo Stato.

Pensateci per qualche secondo: assurdo. Come qualcuno (Stato o Comunità) possa ritenere di decidere della vita di un altro? La nascita non è una scelta, la morte si. Su questo tema la religione è ancora molto lontana, ancorata a testi sacri che affondano le radici in una società che non esiste più. Ed in effetti chi “crede”, lo fa pensando ad una vita terrena e un’altra eterna. Ma chi non crede? Perché costringerlo a crederlo? Ecco la capacità di assicurare l’esercizio delle libertà, anzi della libertà, quella regina per antonomasia, il diritto di morire, come e quando si preferisce, questo l’obiettivo per tutti.

 Il socialismo (inteso come corrente di pensiero progressista) tra le altre cose, ci ha concesso di decidere, tracciando una linea retta tra Stato, Chiesa ed Individuo. E guardate che per libertà non può intendersi la possibilità di fare ciò che si vuole. Questo sarebbe semplicemente un modo per azzerare la società. Si è tanto più liberi, quanto più si apprezza il valore delle regole.

Ma quando non sei tu a decidere di nascere e allo stesso tempo non puoi nemmeno farla finita, in tutta autonomia, staccare le macchine, chiudere e basta, senza poter, in altre parole, nemmeno ucciderti perché la tua malattia è così grave che non te lo permette e perché la società in cui vivi, punisce chi ti aiuta a farlo, beh, è veramente giunto il momento di riappropriarsi, ciascuno, della propria libertà.

 Che non è un dono di Dio, capiamoci. È semplicemente la conseguenza di una scelta, non voluta, fatta da altri, di metterci al mondo. Libertà di decidere della nostra vita, che nessuno potrà mai attribuirci ma solo, al più, riconoscerci.

Tradotto, con il metro di Ricucci, pillole che non guastano mai: famo sempre lo steso errore, perché ce piace, i fxxxx cor culo degli altri…

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