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I trucchisti di Avellino

Di Pino Bartoli

I trucchisti qui ad Avellino ci sono sempre stati. Trincerati dietro una scrivania da dipendente pubblico o mimetizzati da un doppio petto con un’aurea di rispettabilità, ma anche dietro un bancone o a tirare un carretto pieno di cianfrusaglie. Con questi fin da piccolo ti abituavi a trattare ingaggiando a volte dei veri corpo a corpo. Il primo che ho incontrato è stato Smeraldo. Rilegava libri a fianco al convento delle Oblate, ‘ncoppa e’monache, dove andavo all’asilo. Per arrotondare Smeraldo vendeva, una lira l’una, barchette di liquerizia ed io delle 10 lire che mi davano, cinque le spendevo da lui per comprarne cinque. Una volta capitò che dalla bustina dove Smeraldo aveva messo le barchette ne uscì una metà. Madonna come ci restai male. Il giorno dopo, nonostante attribuisse il motivo della rottura alla freschezza del prodotto, pretesi di vederle prima che le mettesse nella bustina di carta oleata, quelle che utilizzavano i tabaccai per riporvi le sigarette sfuse. Smeraldo capì e da allora se trovava qualche scarda ‘e barchetella la faceva scivolare nella bustina “a gratis”, così diceva o tutt’al più si prendeva la lira ma solo se il numero di scarde che ti dava superava il volume della barchetta intera. Con le scuole elementari divenni cliente di Maria ‘a cecata. Teneva l’esercizio, una cassetta con due scomparti uno per i semi di zucca l’altro per i ceci abbrustoliti, all’angolo del a Prefettura. Posto strategico per intercettare buona parte degli scolari del Palazzotto. Nei primi giorni di scuola Maria mi fece fesso falsando il conteggio del resto. La cosa andò così. Presi 20 lire di semi pagandole con le 100 lire, la prime della mia vita, regalate dal nonno. Maria contò il resto partendo da 20 ma, arrivata a 80 concluse dicendo “e 20 fanno 100”. Praticamente i semi vennero a costare 40 lire. Da allora da Maria, non potendo sostituirla perché esercitava in regime di monopolio, andavo con i soldi contati. E poi ci stava Chen, cinese originale. Con la sua bancarella stazionava tra il Tribunale e il Soldatiello. Da lui si tentava la sorte. Se spaccando il mazzo di carte napoletane unte e bisunte avessi pescato il re di danari ti sarebbero toccate dieci caramelle, un valore molto più alto della somma pagata per giocare. Era quasi impossibile pescare quel 10 perché la carta era stata leggermente ridotta ai bordi e, una volta messa nel mazzo, non offriva punti di presa per essere sollevata. Che poi la verità vera sarebbe stata la soddisfazione, pescandola, di sentirlo imprecare in cinese. Siamo dunque smaliziati e quando sentiamo parlare di giornata storica, di uscita dal predissesto, del futuro attivo dei conti comunali restiamo indifferenti. Prima di congratularci vogliamo vedere le cinque barchetelle. Possibilmente sane.

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