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Il Natale tra consumismo e indifferenza

Anche quest’anno, per il cambiamento climatico il è Natale senza neve. E, forse, anche per questo ha perso molto della sua poesia. Una volta, tanti anni fa, nei in Irpinia, il Natale si annunciava con la neve, che cominciava a cadere, bianca e soffice, già a metà dicembre quando cominciava la novena natalizia. Allora non era concepibile un Natale senza neve e il panorama, imbiancato e silenzioso, ti invitavaalla riflessione e ti ispirava un sentimento di pace e di amore che, poi, era e dovrebbe essere ancora, l’essenza e l’anima del Natale. Oggi il panorama è cambiato: non c’è la neve e il trambusto delle macchine, le luci della città e le vetrine folgoranti ti distraggono dalla tua intimità e ti catapultano nella folla vociante e chiassosa in coda per lo shopping. La filosofia e la poesia del presepe si è affievolita: nessuno ha più tempoper prepararlo. Si compra, nei centri commerciali, bello e fatto in serie, con le luci, le casette ed i pastori cinesi, nei grandi empori e si mette in un angolo come un arredo. Una volta il presepe era un’arte e ci si dedicava tutti come faceva il grande Eduardo in “Natale in casa Cupiello” anche se in famiglia c’era più di un problema. Noi ragazzi si andava in cerca della creta per fare la Grotta, del muschio per fare i prati, dei rami di pino per fare gli alberi e dei cartoni per fare le casette e il castello di Erode. Fare il Presepe era un rito che ti avvicinava allo spirito del Natale.

Oggi il Presepe è stato soppiantato dall’albero che si fa in tutte le case pieno di luci sfolgoranti, di palline colorate e di regali che a volte finiscono per nasconderlo tanto sono ingombranti e numerosi. Oggi “La gente fa il presepe e nun me sente,/cerca sempre de fallo più sfarzoso,/ però ciàer core freddo e indifferente/ e nun capisce che senza l’amore/ è cianfrusaja che nuncià valore.” scriveva Trilussa nei primi decenni del secolo scorso e allora non c’era ancora la globalizzazione che ha portato con sé anche la commercializzazione dei sentimenti. Altra caratteristica dei Natali di oggi è l’indifferenza della gran parte di coloro che, carichi di pacchi dono, non si accorgono dei mendicanti che sono cresciuti in questi anni e tirano diritti tra la folla rumorosa. Il dolore altrui intristisce e non ci si sofferma a pensare che il Natale lo vive, con accresciuta tristezza e malinconia, anche una umanità dolente, derelitta e senza affettiin una solitudine abituale: i bambini negli orfanotrofi senza il sorriso della mamma, gli anziani negli ospizi, i clochard sulle panchine dei giardini o delle stazioni ma anche  giovani e meno giovani, magari separati che dormono in macchina, come quel giovane separato con figli che piangeva sulle spalle del bravo giornalista Domenico Iannaccone, conduttore dei Dieci Comandamenti perché il giudice non gli faceva frequentare i figli perché non aveva una casa dove accoglierli che una burocrazia, distratta ed indifferente, aveva  assegnato ad un altro perché il suo certificato ISE era scaduto. Come i bambini dei migranti che sono scampati alla morte in mare fuggendo dalla fame, dalle carestie e dalle guerre dei loro paesi d’origine e che un cinico e non cristiano ministro dell’interno ha sbattuto sulla strada con il suo decreto sicurezza che ha abolito i permessi umanitari o facendogli bruciare le baracche di cartone e di lamiere.

Anche la politica ha le sue colpe in questa progressiva caduta di valori e nell’affievolimento dei sentimenti di solidarietà e di fratellanza cristiana, ma anche di civiltà giuridica. Ad una spocchiosa ed offensiva ironia di frasi fatte per l’occasione corrispondono comportamenti indegni di una morale cristiana, spesso razzisti e cinici, che incitano alla divisione, alla lotta dei poveri contro altri poveri distinguendoli dal colore della pelle o dalla loro religione, infondendo odio e discriminazione all’insegna del “Prima gli Italiani”. Nascondono al Paese la realtà, promettono cose irrealizzabili per le quali non ci sono le risorse come il reddito di cittadinanza, sbandierato ai quattro venti con lo slogan di aver “vinto la povertà” quanto le poche risorse disponibili, peraltro a debito, possono coprire una platea molto meno numerosa dei bisogni effettivi e solo per un arco di tempo molto breve. Non si respingono in mare i migranti o li si lasciano sulle navi, di fatto sequestrandoli. Non si parla alla pancia delle persone ma alle loro teste e alle loro coscienze.

Il Natale è per tutti ma soprattutto per i poveri e gli infelici. Non sia ricordato solo per “una variazione di menù” come ammoniva un prete coraggioso come don Mario Borrelli creatore della Casa dello scugnizzo di Napoli. Ritrovare lo spirito del Natale è anche un dovere della politica, quella vera. Non è, purtroppo, sufficiente lasciare il compito solo a Papa Francesco. Buon Natale!

NINO LANZETTA

 

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