Corriere dell'Irpinia

Il procuratore Guerriero saluta la magistratura con il libro “Il sapore dell’Ingiustizia”

“Ho fatto il magistrato per non impazzire di fronte alle ingiustizie». È un passo del libro “Il sapore dell’ingiustizia” del procuratore Antonio Guerriero , presentato oggi pomeriggio nella sala blu  del Carcere Borbonico di Avellino. Il magistrato, con alle spalle  una prestigiosa carriera  iniziata nel 1980  e lunga 44 anni, tutti dedicati  alla difesa dei valori fondamentali della giustizia, è stato alla guida della procura di Frosinone fino a pochi giorni fa. Procuratore capo con la maggiore anzianità di servizio:18 anni iniziati con l’incarico a S.Angelo dei lombardi.

Il libro costituisce il viaggio nel mondo della giustizia di un Pm, che ha messo a rischio la propria vita e quella della sua famiglia in nome della stessa giustizia e della verità. Dagli incontri con Falcone a quelli con valorosi magistrati napoletani, dalle dichiarazioni del detenuto Pasquale Barra all’agguato al Procuratore Gagliardi: il volume è un lascito per ricordare alle nuove generazioni l’impegno di tanti magistrati, alcuni uccisi, per aver contrastato mafie, terrorismo e corruzione. «Nel libro racconto fatti, non parole. Noi siamo quello che facciamo, non quello che diciamo». Guerriero ha invitato all’unità: «Dare giustizia è la base della società. È il sistema, la democrazia. Se la giustizia non funziona, non funziona lo Stato. L’autorevolezza la si costruisce non con le qualifiche, ma con valori umani». Quindi ha ringraziato gli intervenuti, a cominciare dall’ex procuratore di Avellino e Latina Antonio Gagliardi all’ex procuratore Antimafia Franco Roberti, al componente di Confindustria laziale  Maurizio Stirpe (con il quale Guerriero ha ricordato una conoscenza datata dai tempi di Avellino quando l’imprenditore rilevò un’azienda), i comandanti provinciali di carabinieri e guardia di finanza e il segretario generale dell’Aci Gerardo Capozza, irpino anche lui.

«Nel libro- afferma  il procuratore Guerriero –  racconto fatti, non parole. Noi siamo quello che facciamo, non quello che diciamo». Guerriero ha invitato all’unità: «Dare giustizia è la base della società. È il sistema, la democrazia. Se la giustizia non funziona, non funziona lo Stato. L’autorevolezza la si costruisce non con le qualifiche, ma con valori umani»

L’evento è stato moderato dalla dottoressa Valeria Altobelli dell’Università di Cassino, mentre il professor Amedeo di Sora, con la sua maestria attoriale, ha dato vita al libro leggendo alcuni passaggi significativi. Successivamente, il dibattito ha visto l’intervento di eminenti personalità come l’avvocato Augusta Dell’Erario, l’avvocato Gianfranco Iacobelli, il professor Tullio Faia, leader nazionale di “Soli dirigenti”, l’avvocato Rossella Verderosa, il geologo Sabino Aquino e il giornalista Gianni Colucci. La presenza del generale di corpo d’armata Angelo Agovino e dell’ex Procuratore di Avellino, Antonio Gagliardi,  del comandante provinciale dei carabinieri , il colonello Domenico Albanese e del tenente del nucleo operativo  della guardia di finanza Elisa Marzo è stata particolarmente significativa, arricchendo il dibattito con il loro contributo.

“Questo incontro è stato organizzato per raccontare una generazione di magistrati che, da Falcone a Borsellino e da Gagliardi a Franco Roberti, ha dovuto fronteggiare tre enormi problemi: le organizzazioni mafiose che controllavano in modo militare il territorio, facendo pagare la tassa camorra sui principali beni, e avevano al vertice gli imprenditori; il terrorismo e centri illegali vicini alla corruzione che se avessero vinto avrebbero potuto incidere sul sistema democratico del paese” ha spiegato Antonio Guerriero.

“Invito a riflettere su cosa sarebbe successo se non ci fosse stata la strage di Falcone e Borsellino. Pensate che è dopo la loro uccisione che è nata tutta la normativa antimafia. Quindi dobbiamo ripensare storicamente al ruolo della magistratura come baluardo di un sistema democratico nel contrastare i tre immani problemi di cui parlavo prima – ha aggiunto l’ex Procuratore della Repubblica di Frosinone – inoltre, oggi siamo qui per valorizzare l’Irpinia portando avanti un progetto per ripresentare un tribunale delle aree di montagna che accorpi Ariano Irpino e Sant’Angelo dei Lombardi. Duemila chilometri di territorio che non hanno giustizia. Dobbiamo ripristinare queste aree a rischio di desertificazione”.

All’incontro era presente anche l’ex Procuratore di Avellino, Antonio Gagliardi, medaglia d’oro di vittima del terrorismo che ha  ricordato il suo legame indissolubile con la città. “Avellino resta la mia patria. Mi sento avellinese anche se non sono nato qui perché ho amato il popolo di questa terra, in particolare le persone più umili che hanno avuto sempre un grande rispetto nei miei riguardi, anche quando i ‘grandi’ mi respingevano”.
E poi si  rivolge  al suo amico Antonio Guerriero «Ho salutato il suo ingresso in magistratura quando ero sostituto procuratore di Avellino e oggi lo saluto mentre lascia la magistratura».

Interpellato sui Comuni irpini di Quindici e Monteforte Irpino, commissariati per infiltrazioni mafiose, Gagliardi è tornato indietro nel tempo ripercorrendo l’attività svolta durante il post sisma dell’80 per contrastare la criminalità organizzata: “Affrontammo una battaglia perché allora la camorra era di grosso livello e si era impadronita del territorio, soprattutto mirava ad assumere il monopolio della ricostruzione. Fu un’operazione difficile ma riuscimmo a portarla a termine fermando l’organizzazione malavitosa. La gente semplice apprezzava la nostra lotta in difesa della legalità, nonostante questa difesa a volte non coincidesse con le intenzioni di coloro che dominavano il territorio. La camorra di quei tempi si comportava in modo spavaldo e sicuro”.

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