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Il valzer dei cospiratori

Di Franco Festa

Si riuniscono a piccoli gruppi. Girano per strade secondarie, bar meno conosciuti, si incontrano in auto anonime, intersecano i loro sguardi complici e furtivi da un marciapiedi all’altro. Prediligono la sera o la notte, ma se è necessario anche l’alba. Un gruppo variopinto si incontra al mattino presto in un caffè, ci sono un po’ tutti, di destra, di centro, di sinistra, immaginano di essere i cavalieri della tavola rotonda, i portatori di verità assolute, ma non fanno testo, consumano solo aria e miscela di espresso. Gli altri, quelli del centrosinistra, apparsi orgogliosi e vocianti in una pubblica assemblea contro Festa ma subito scomparsi, discutono nell’ombra, ma nessuno conosce ciò che dicono. Parlano, parlano, seri, eccitati, pensierosi, dubbiosi, forse di tavoli tematici, di programmi ambiziosi, di piattaforme comuni, ma alla fine si ritrovano con il solito elenco di astratti pensierini adatti a tutte le occasioni. Quando si aggiunge un nuovo originale terreno d’intervento, i 5 stelle, abituati a ripetere a memoria l’elenco delle buone intenzioni dei capi, vanno in panico. Quando si discute di allargare l’iniziativa alla società civile, di stare tra la gente, il PD entra in trepidazione, tra chi sogna le primarie per i soliti giochi e chi freme agitando la figurina di Di Nunno, tra chi è pronto a intruppare pure i renziani e chi si appresta a scaricarli alla prima fermata: tutti insomma, nel PD, sono portatori di un pensiero autonomo, originale, libero, come i carcerati durante l’ora d’aria. Tra chiamate, messaggi, whatsapp, le ore dei congiurati scorrono veloci, nervose, agitate. Tutti si studiano, si annusano, si misurano, si squadrano, si travestono da alleati o da nemici, da consenzienti o dissenzienti, da cinici o da complici. Intanto cominciano a girare misteriosi foglietti, un nome su ogni foglietto, con i pallini affianco, qualcuno con i cuoricini, altri con i punti esclamativi, altri con una sfilza di parolacce abbreviate. Perché è il nome del candidato sindaco il loro vero problema. Guai a dirglielo, però. Vi guarderanno scandalizzati, pronti a giurare che il loro unico assillo è l’elenco delle idee forti per il futuro della città, non è proprio il momento di parlare del candidato. Se ne riparlerà forse a Natale o meglio ancora a Pasqua prossima. Nel frattempo Festa corre come un ossesso da un punto all’altro della città, recitando ormai orazioni funebri ai matrimoni e congratulazioni agli sposi ai funerali. E mentre monta il suo periodico baraccone per l’estate che incalza, mentre Avellino si appresta a vivere un’altra stagione di faranoiche meraviglie, con scimmie a sei teste, cavalli che parlano inglese e consiglieri comunali festiani che volano dentro il cerchio di fuoco, il centrosinistra si consuma tra progetti avveniristici e divisioni plateali, tra nomi di candidati ridicoli e chimere che durano lo spazio di una notte, e non riesce a far sentire una voce coraggiosa e libera, a mettere in campo una visione nobile e alternativa che strappi la città dalla sua agonia.

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