Corriere dell'Irpinia

Inginocchiarsi per sopravvivere può essere contro la legalità

Di Gianni Festa

Già! Pare proprio che ci fossero dentro fino al collo, eppure impunemente continuavano nella loro logica di padroni della città. Sporcandone l’immagine, violentandone la dignità. Avellino, città nella quale la maggior parte di un popolo irriconoscibile, nonostante sia stato maltrattato e vilipeso, ha continuato ad inginocchiarsi per sopravvivere senza che gli fosse riconosciuto il diritto alla vivibilità, per non parlare del sogno di una visione del futuro di un capoluogo un tempo orgoglioso della propria storia. A ben leggere i documenti ufficiali della magistratura, impegnata nella ricerca della legalità, viene fuori un quadro criminale della gestione del Comune di Avellino, in cui le complicità per il malaffare sono tante e tutte finalizzate agli interessi di un possibile comitato di affari. Lavoro pregevole dei magistrati della Procura avellinese, guidati da un determinato e coraggioso Domenico Airoma. Se dovessero trovare conferma i reati contestati, ci troveremmo di fronte a fatti di inaudita gravità rispetto i quali chi amministrava si riteneva evidentemente non punibile. In cambio ai cittadini si propinava uno sfrenato populismo fatto di canzoni e canzonette come oppio per una comunità che si vuole fondata sullo svago e non sul senso civico e la difesa dei diritti, oppio che annebbia lo sguardo sul degrado della città. Tutto questo risulta ancora più grave nel momento in cui quella stessa parte di un popolo irriconoscibile ha scelto la continuità mascherata rispetto alla responsabilità del cambiamento, in nome del recupero della legalità perduta. E’ difficile, in queste ore, immaginare dove l’inchiesta “Dolce vita” potrà approdare.

Se altri provvedimenti chiariranno ruoli e complicità. Lo abbiamo sempre sostenuto e lo ribadiamo oggi: chi è indagato è innocente fino a emissione di sentenza definitiva. Per ora le prove raccolte dagli inquirenti narrano di un pozzo senza fondo dei sistemi dell’illegalità. Tuttavia al salvifico lavoro dei magistrati si contrappone l’assenza e la latitanza di un controllo democratico delle forze politiche strutturate. Su questa strada il “civismo” rappresenta la foglia di fico per coprire le malefatte. Esiste infatti un civismo che ha come collante interessi particolari e non la dignità e il bene comune. D’altra parte lo stesso silenzio del sindacato, per il quale la lotta per la legalità dovrebbe essere tra gli obiettivi primari, è a dir poco assai prudente. Se non ora quando ci sarà una rivoluzione delle coscienze capace di porre fine a questo andazzo che rende inconsapevolmente tanti cittadini complici del peggio? Siamo ormai al limite: da una parte l’ex governo della città maleodorante di illegalità, dall’altra la camorra che si infiltra nel tessuto imprenditoriale locale, interagendo con pericolosi clan napoletani. Forse – ma anche senza forse – i due aspetti convergono nella costruzione di un clima di illegalità che rende prigioniera Avellino nostra.

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