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La banalità del male

Di Andrea Covotta

Sono passati poco più di sessant’anni dal libro di Hannah Arendt “La banalità del male”. La scrittrice segue come inviata del “New Yorker” il processo in corso a Gerusalemme al gerarca nazista Otto Adolf Eichmann. Dai suoi articoli nasce un testo che ha fatto la storia, perché l’Olocausto, Il “male” che Eichmann incarna appare alla Arendt “banale”, e perciò tanto più terribile, perché i suoi servitori più o meno consapevoli non sono che piccoli, grigi burocrati. I macellai di questo secolo non hanno la “grandezza” dei demoni: sono dei tecnici, si somigliano e ci somigliano. Oggi il mondo è scosso e angosciato di fronte al “male” della guerra in Ucraina e dell’eterno conflitto in Medio Oriente, ancora una volta siamo sopraffatti dalla “banalità” e dalla crudeltà dei conflitti. Come ha scritto Alessandro De Angelis “Pur non essendoci un collegamento diretto le due tragiche vicende si incrociano, determinando uno scenario inedito: se la guerra del Kippur ebbe riflessi internazionali enormi, a partire dalla crisi petrolifera (ricordate in Italia le domeniche a piedi e le targhe alterne), questo attacco di Hamas si aggiunge ad una guerra nel cuore dell’Europa. Destabilizzando un mondo già sufficientemente destabilizzato”. Il quadro politico mondiale ci appare confuso, frammentato e fragile e nel 2024 si terranno sia le elezioni europee che le presidenziali americane. Lunedì scorso il Presidente della Repubblica si è recato al ghetto ebraico di Roma per ricordare il rastrellamento compiuto dalle SS naziste il 16 ottobre del 1943 che portò all’arresto e alla deportazione di migliaia di ebrei romani al campo di sterminio di Auschwitz, solo 16 di loro riuscirono a sopravvivere. E lo stesso Mattarella ha messo in guardia dai rischi che stiamo correndo, sottolineando che il “preoccupante aumento delle tensioni internazionali, allarga le faglie fra Paesi e fra regioni del mondo e porta ad un ritorno imperialistici e dei nazionalismi. Un quadro che il Segretario generale dell’Onu, Guterres ha efficacemente descritto come un mondo multipolare senza multilateralismo e per questo più esposto a tensioni geopolitiche e ad una contrapposizione e non ad una collaborazione fra Stati”. Un richiamo, dunque, all’Europa e alla sua funzione che resta quella di non arrendersi davanti agli ostacoli perché significherebbe correre domani pericoli peggiori. I due teatri di guerra, quello ucraino e quello mediorientale indicono la necessità per l’Europa di agire e di considerare la sfida internazionale come una priorità accanto a quella economica e all’immigrazione. Il compito dell’Europa non è solo quello della solidarietà a chi è sotto attacco ma è quello di continuare a difendere i valori della libertà e della democrazia. L’Europa ha vinto la sfida del Novecento contro i totalitarismi e oggi deve continuare quell’opera iniziata dopo la fine della Seconda guerra mondiale e lavorare per evitare ambiguità nell’opinione pubblica e soprattutto nelle classi dirigenti. Ha detto bene Ezio Mauro, gli insegnamenti ricevuti dalla generazione dei padri dobbiamo conservarli intatti come un privilegio di pace per noi, e come investimento per il futuro dei nostri figli.

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