Un clamoroso esempio di quanto accade in provincia e in città, addebitabile soprattutto ad una partitocrazia infetta, viene dal Pd irpino. Qui, come d’altra parte altrove, il tentativo di mettere insieme culture diverse in nome della governabilità, è completamente fallito. Sono rinati gruppuscoli senza identità, privi di una seria prospettiva politica. Da giorni i vertici delPd si azzuffano per stabilire la data in cui dovrà svolgersi il congresso provinciale. Pezzi di uno stesso partito si lacerano con il solo obiettivo di conquistare stracci di potere. E tutto avviene in uno scenario che non comprende, e non interpreta, la difficile crisi sociale e morale che l’Irpinia sta attraversando. Un tempo, e lo scrivo senza alcuna nostalgia, i partiti guardavano al momento congressuale come ad una occasione di elaborazione dei temi riflettenti i bisogni della società. Era quello il momento della costruzione del pensiero sul come dare risposte ai problemi: dal lavoro all’ambiente, dall’emergenza sanitaria a quella dell’immigrazione. Oggi lo spartiacque è segnato solo dalla discussione sulla fissazione della data di un congresso i cui contenuti restano un mistero. Evidente, invece, è la corsa al posizionamento in vista delle future elezioni sia politiche che amministrative. Che il possesso di un pacchetto di tessere potesse dare più chance a questo o a quel personaggio per controllare il consenso, è antica storia mai dismessa. Non era, però, mai accaduto, almeno a mia memoria, che il congresso di un partito in Irpinia si riducesse solo alla conta dei ticket posseduti, senza indicare un minimo di prospettiva per il bene della realtà in cui si opera. Questa è, purtroppo, la condizione drammatica in cui vive il Pd. Senza dialogo, nè confronto, ma solo lacerato da distinguo che avvilisce le istituzioni e mortifica il valore stesso della democrazia rappresentativa. Con una aggravante rispetto alle altre forze politiche. Il Pd è infatti il partito che per consenso ha la maggiore responsabilità del governo della realtà, soprattutto oggi nella difficile condizione che la provincia attraversa, Senza partiti, diventati piccoli clan personali, senza capacità di elaborazione politica (i laboratori di cui si discetta sono semplicemente costruiti su ambizioni personali) è evidente che le conseguenze sulla società sono gravi. A cominciare dalle riflessioni che oggi i giovani fanno. Le loro domande che finiscono per alimentare quel fiume nel quale sfociano almeno tre sorgenti oggi non sono più eludibili. Tre sono le grandi questioni: senza lavoro e di fronte ad un partito consumistico senza idee i giovani che non trovano risposte si allontanano, dalla politica, rifiutando il criterio dell’appartenenza ai partiti che ne rappresentano il veicolo; essi, inoltre, denunciano il sistema della raccomandazione che mortifica il merito, emarginando i migliori e promuovendo gli obbedienti al potere; infine si consolida la strada obbligata dell’emigrazione, generata dalla classe dirigente che ha tradito la propria terra.
In questo scenario, solo apparentemente pessimistico, va collocata, ora e subito, quella speranza di cui parla don Arturo vescovo:. la costruzione del bene comune. Per raggiungerlo occorre mettere in campo un forte impegno di tutte le componenti sociali. Per invertire la tendenza e approdare a nuove sfide corali che siano in grado di aiutare i giovani (e non solo) a costruire una società in cui valori, merito ed equità diventino punto di riferimento di un nuovo percorso. Per compierlo, non c’è momento migliore di questo. L’arrivo nella città , e nella diocesi,di don Arturo vescovo a me sembra che si collochi in questa direzione. Il suo episcopato può fare molto per una città agonizzante, nella quale l’assenza di una classe dirigente degna di questo nome ha reso il panorama denso di nubi minacci.
edito dal Quotidiano del Sud
di Gianni Festa