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La notte buia e i segreti dell’universo

L’altra sera, mentre accompagnavo mio nipote a casa, mi ha chiesto: “Nonno perché la notte è buia?”

“Perché il Sole è tramontato”, gli ho risposto.

“Ma tutte le altre stelle non emettono, pure luce?”

“Certo, però le stelle sono lontanissime rispetto al Sole, quindi la loro luce è molto debole”, ho ribattuto.

“Ma sono tantissime”, ha insistito.

“Sì ma lo spazio è immensamente grande”.

“Però è pieno di stelle, no?”

“Sì”

“Allora il cielo di notte dovrebbe essere illuminato”.

Intanto siamo giunti a casa ed ho risposto: “Adesso vai a dormire, quando sarai più grande ti spiegherò”, pensando – mentre si stampava un sorriso sulle labbra – che un bimbo di otto anni non può ancora avere un’idea dell’immensità delle dimensioni dell’Universo e del valore finito, anche se grandissimo, della velocità della luce.

In realtà sulla domanda posta da mio nipote gli astronomi s’interrogano da secoli. Già Giovanni Keplero si pose il problema che in uno spazio infinito, da sempre punteggiato di stelle in modo uniforme, non dovrebbe esserci oscurità per la presenza di un numero infinito di stelle. La constatazione che un cielo notturno senza limiti nello spazio e nel tempo non può essere buio oggi è noto come il paradosso di Olbers. La formulazione si basa sull’ipotesi ragionevole che gli oggetti luminosi siano distribuiti nell’universo in modo sostanzialmente uniforme. Questa ipotesi prende il nome di principio cosmologico, secondo cui in qualunque direzione guardiamo troveremo sempre un cielo simile a quello che stiamo vedendo e quindi con tante stelle. Un po’ è come essere in un bosco in qualunque direzione guardiamo vediamo sempre un albero e non si riesce a vedere al di fuori del bosco stesso. Così quanto più in profondità guardiamo nel cielo, tanto più numerose sono le stelle. In un cielo di profondità infinita tutto lo spazio sarebbe coperto di stelle e la loro luce splenderebbe come il Sole. Ma tutto ciò non accade. Perché?

La notte buia ci rivela che l’Universo visibile non è infinito: o ha una dimensione finita, o un’età finita, o entrambe le cose. Questi concetti ci risultano di difficile comprensione. La prima ci dice che da qualche parte l’universo finisce, e allora sorge spontanea la domanda, che cosa c’è oltre il limite? La seconda dice che ha avuto un inizio nel passato, e sorge la domanda, che cosa c’era prima? Un universo finito ci sembra un ossimoro, una contraddizione in termini. Naturalmente il caso contrario: un universo infinito non ci darebbe meno grattacapi dato che l’infinità supera la nostra capacità di comprensione. Insomma comunque sia facciamo fatica a capire la realtà.

Quando prendiamo coscienza di questa incapacità sprofondiamo in preda allo stupore. Ci sentiamo sconvolti da una realtà completamente diversa da come la pensiamo, o da come ce la possiamo immaginare pur sentendo di esserne parte e legati ad essa in modo misterioso. Questo stupore è più di un’eccitazione mistica perché proviene dalla realtà, o meglio, dal nostro pensiero razionale. È il passaggio dall’inconsapevolezza a una comprensione più profonda: il mondo in cui esistiamo ci si apre, ci porta alla ricerca di situazioni nascoste e alla gioia di scoprire come è fatto e dunque a uno stupore ancora più grande.

Oggi sappiamo che l’Universo non è sempre esistito – ha avuto un inizio: 13,8 miliardi di anni fa –, che vediamo un numero grandissimo di stelle ma pur sempre finito – e non infinito –, e che riceviamo la luce solo da quelle regioni dello spazio vicine: quelle per la quali c’è stato il tempo sufficiente per cui la radiazione luminosa ci ha potuto raggiungere. Ecco perché il firmamento è buio di notte. Ma tutto questo: del rapporto tra la velocità della luce, il buio della notte, l’inizio dell’Universo e l’espansione dello stesso non potevo dirlo a mio nipote nel breve viaggio da casa mia a casa sua. Buona notte, Nicolò.

Michele Zarrella

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