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La politica riparta dal dialogo 

Per chi ha superato l’età pensionabile è facile ricordare, con preoccupante rammarico, che una volta, in Italia e in Europa, c’era la politica intesa nel senso più nobile del termine.

C’era la politica, ma soprattutto, c’erano gli uomini politici, portatori di una buona cultura giuridica, di una sufficiente conoscenza della complessa architettura istituzionale dello Stato e di una dose significativa di buon senso che evitava assurdi scontri istituzionali.

L’assenteismo alle consultazioni elettorali non era di casa, come quello attuale, perché con il voto di preferenza l’elettore poteva scegliere il candidato più idoneo e la partecipazione alla competizione elettiva era viva, appassionata, generatrice di un rapporto di stima, di fiducia tra eletto ed elettore.

I candidati non sbucavano come funghi, ma maturavano la loro esperienza prima nelle loro piccole comunità di appartenenza e poi, gradualmente, se capaci e meritevoli, arrivavano ai livelli elettivi nazionali.

I partiti erano punti di riferimento necessari per la formazione all’impegno politico con le loro scuole permanenti di formazione e la Chiesa, nel quadro delle sue competenze sociopastorali, contribuiva ad educare i giovani all’impegno sociale, culturale e politico nell’alveo della sua dottrina sociale.

Generazioni di eminenti politici provenivano da questo humus fecondo e la storia politica irpina costituisce un esempio, forse unico nel panorama politico italiano, di un gruppo politico dirigente, con responsabilità di governo e di partito ai massimi livelli nazionali.

Con questa opportuna premessa probabilmente è più facile comprendere la squallida situazione politica nazionale con gli attuali scontri istituzionali e con la rozzezza, senza limiti, di utilizzare e calpestare la dignità umana di uomini, donne e bambini bisognosi e indifesi, per alimentare continuamente una campagna elettorale mai conclusa, con minacce, insinuazioni, e paventati pericoli che allignano nello stato d’animo di paura e disorientamento della parte preponderante del popolo italiano. Basti pensare alle insinuazioni dell’attuale ministro dell’interno verso la Chiesa cattolica “apra il suo portafoglio per aiutare i migranti” ignorando del tutto che sul fronte di tali aiuti, dall’inizio dei flussi migratori, la stessa Chiesa cattolica con la rete della Caritas, della Fondazione Migrantes e, indirettamente, con i canali umanitari e la comunità di S. Egidio, ha svolto una costante azione di accoglienza.

Attualmente, sul caso della nave Diciotto, le diocesi italiane hanno aperto le loro porte all’accoglienza, evitando di continuare un’indecente braccio di ferro politico sulla pelle dei poveri. È stato opportunamente chiarito che abbandonare un cane in autostrada è un reato, alcune sentenze, compresa quelle promosse dalla Repubblica di Avellino, è un reato, invece un populismo cinico e senza futuro, consente di lasciare in mare degli esseri umani, con le loro sofferenze, i loro bisogni e le loro legittime speranze.

Con queste considerazioni non si vuole di certo avallare la miope posizione dell’Unione Europea, ma si vuole riproporre la via del dialogo e dell’ascolto per migliorare una realtà politica necessaria, ma in affanno: una nuova Europa va costruita con proposte condivise, senza alimentare spinte disgregative collegate ad anacrostici egoismi nazionali. Cavalcare l’onda di uno stato d’animo prevalente, con comprensibile ma sproporzionate paure, significa scegliere la via più facile per carpire il consenso, ignorando che la storia, antica e moderna, ci insegna che le grandi scelte e il buon governo delle nazioni, passano attraverso la porta stretta e difficile – ma sempre valida – del dialogo, del confronto e delle condivisioni progettuali di ampio respiro e di lungo periodo.

di Gerardo Salvatore edito dal Quotidiano del Sud

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