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Le elezioni non finiscono mai

Foto: Ansa.it

di Guido Bossa

Che nella vita gli esami non finiscano mai ce l’ha spiegato una volta per tutte il grande Eduardo De Filippo portando in scena nel lontano 1973 l’amara esperienza di Guglielmo Speranza; ma in Italia anche le elezioni, come gli esami, si rincorrono continuamente, ogni volta rimettendo in discussione certezze (vittorie e sconfitte) acquisite quanto effimere. Tanto che è ancora fresco il conteggio del voto delle europee – un test nazionale squisitamente politico – che già si guarda con fiducia o timore al prossimo appuntamento di autunno che interesserà tre amministrazioni regionali in realtà locali e circostanze diverse fra loro, il cui esito però verrà interpretato in chiave di politica nazionale come una verifica della tenuta della maggioranza e della capacità delle opposizioni di costruire un’alternativa valida per il governo del Paese.

Le regioni interessate sono l’Emilia Romagna, l’Umbria e la Liguria. La prima va alle urne perché il presidente delle Giunta Stefano Bonaccini, che è anche presidente del Pd, è stato eletto al Parlamento europeo e quindi si è dimesso dall’incarico in Regione; in Umbria è in scadenza il mandato della giunta di centrodestra che  cinque anni fa ha interrotto una lunga serie di amministrazioni progressiste; infine c’è la Liguria dove le dimissioni del presidente Giovanni Toti, incappato in un’inchiesta giudiziaria ancora da definire, ha riaperto i giochi per la successione offrendo una chance insperata al centrosinistra, sconfitto alle elezioni del 2015 dopo decenni di dominio incontrastato in Regione. Nelle tre regioni si potrebbe votare a metà novembre ma tenendo conto che siamo alla vigilia della pausa estiva che durerà quattro-cinque settimane, si capirà che tempo per preparare liste e candidature ce n’è poco; e intanto si rincorrono previsioni e ipotesi su risultati e valutazioni politiche del voto. L’ambizione inespressa ma tenacemente coltivata della segretaria del Pd Elly Schlein è di confermare lo storico primato in Emilia Romagna e recuperare la guida delle altre due regioni, tradizionalmente “rosse”, perse negli anni del declino dei democratici dopo la segreteria Renzi. In questa ottica, un risultato positivo a Bologna, Perugia e Genova, dimostrerebbe, a metà della legislatura iniziata nell’ottobre 2022, che i progressisti sono rientrati in partita e possono battersi per una rivincita storica sul centrodestra. La segretaria del Pd, che alle recenti europee ha portato a casa un buon risultato, vedrebbe premiata la scelta di abbandonare silenziosamente la costruzione di un incerto “campo largo” a favore della pragmatica definizione di alleanze basate su programmi e candidature condivise. Meno ideologia e più concretezza, insomma.

Il tempo dirà se questa linea politica è convincente. Intanto però c’è da rilevare che nell’altra metà del campo, quello della destra di governo, ci si avvicina all’appuntamento autunnale con qualche tensione prodotta dalle ricadute del voto europeo di due mesi fa che ha visto Giorgia Meloni vincitrice in patria ma sconfitta e isolata a Bruxelles, il che ha generato rivendicazioni da parte della Lega e soprattutto di Forza Italia, con il vicepremier Antonio Tajani che, stimolato dalla famiglia Berlusconi (Marina e Pier Silvio), chiede più spazio e una correzione di linea in senso moderato-centrista delle politiche del governo. Si capisce quindi perché un risultato negativo alle regionali avrebbe ripercussioni anche a Roma.

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