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L’eredità di Lino Jannuzzi

di Virgilio Iandiorio

Sono trascorsi una decina di giorni dalla morte di Lino Iannuzzi, avvenuta a Napoli il 7 agosto scorso. Sarebbero superflue le mie parole per illustrare un giornalista che tutti conoscono per le sue inchieste su fatti e personaggi che hanno abbondantemente riempito le cronache dei giornali.

Mi è venuta voglia di parlarne per smentire un teorema, che è molto di moda dalle nostre parti. Il “falso” teorema potrebbe così essere enunciato: Per la storia dei paesi, i nostri, sono buoni tutti quelli che in essi sono nati e cresciuti, ma è sufficiente anche la sola nascita; fatta eccezione per quelli nati e cresciuti nel Ventennio, che tanto più sono buoni, ai fini della ricostruzione storica, quanto più sono stati lontani dal Fascismo. La loro valenza storica inversamente proporzionale alla distanza dal Duce; tanto meglio se appartenuti a partiti di opposizione.

Lino (Raffaele il suo nome all’anagrafe) era nato a Grottolella in provincia di Avellino il 20 febbraio 1928. Il padre, maresciallo dei Carabinieri in servizio a Napoli, fece studiare il figlio nelle scuole della città partenopea. Il giovane, fenomenale a scuola, si diplomò nel 1943 all’età di quindici anni.

La sua carriera giornalistica iniziò con il settimanale L’Espresso, occupandosi di giustizia e di politica. Venne inquisito per alcuni suoi articoli sugli errori giudiziari, come nel caso di Enzo Tortora. Insomma ci sarebbe da scrivere un romanzo della vita d Lino Jannuzzi, che non fu solo giornalista ma anche sceneggiatore di film famosi (Lucky Luciano nel 1973) e politico, prima come socialista e poi del partito di Berlusconi.

E quando si muore, nei nostri paesi, si mobilita il generale cordoglio. Se non si può aggiungere molto alla biografia scarna del defunto, è sufficiente ricordarlo come “una brava persona”. Per Lino Jannuzzi non vale il teorema sopra enunciato.

Quando il “pregiudizio” morale prevale su quello “storico”, nel senso di valutazione senza ideologia delle qualità e capacità professionali di una persona, siamo alla negligenza. Per il defunto che a noi interessa, per i motivi più diversi, pubbliche commemorazioni, proposte di intitolazioni di strade ecc. E vale il teorema dell’appartenenza. Per quelli che in vita hanno dimostrato qualità professionali notevoli, ma lontane dal nostro modo di vedere le cose, dopo la morte rimane solamente l’oblio.

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