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“Lettera alla primavera” di Monia Gaita

Oggi voglio parlare della primavera, di quanto sia gradevole percorrerne lo spazio, guardare le foglie verdi e tenere sfrattarci all’improvviso da ogni pensiero cupo.

Anche la primavera è risurrezione: la natura risuscita con tutti i sensi all’erta per consegnarci all’arbitrio e all’affresco dei colori.

Non è scontato essere vivi.

Spesso ce ne dimentichiamo.

La gioia è un capitale da non dilapidare. Lo stupore non deve transigere mai col disincanto.

Stamattina a Montefredane la gente era felice: salutava con calma, abbracciava con grazia senza inciampare nel fastidio o nella fretta.

Il cuore della primavera ha un compartimento inviolabile che custodisce, sorvegliandoli, sogni, speranze e desideri.

Questo paese è solo un esiguo posto del grande mondo che ci avvolge: odora di cerri, di pampini e noccioli.

E’ un giorno chiaro e saturo di pace, vorrebbe decifrare la magia segreta che anima le cose, vorrebbe ripararci dagli urti e dalla sindrome dello sconforto, dal poderoso fascio dei problemi e del deluso.

Mi piace sostare in questo nuovo ordine, mi piace poter risorgere insieme alla materia, al cielo dalla pelle diafana e gli occhi sgranati, ai muri storditi che pestano nello stesso granitico mortaio, passato e presente.

Mi piace questo languore che ingurgita le voci, la tosse secca dei rametti che bruciano nei campi, la chiesa che rovista nella piazza in cerca di presenze.

E dico grazie alla primavera.

E dico grazie se sono viva.

E dico grazie se gli alberi parlano a denti stretti, se l’aria è impregnata di un sangue bello e pulito, se il buonumore dispiega le ali, se questo pulsare di energia ci fa interdetti al buio, alle placche della resa, all’ineludibilità della fine.

E dico grazie ai lombrichi, ai gufi, ai merli e alle rondini, alle talpe nei loro cunicoli, alle risse furibonde dei piccoli organismi che non vedo.

E dico grazie ai contadini, alle zolle redente dalla zappa, alla florida comunità dei semi che diverranno frutti, a chi ha cura e premura di rinascere, a chi fa da balia alle attese e le accudisce, a chi afferra che siamo solo il conio di una successione, che ogni suolo fangoso, ogni bosco distrutto, ogni palude torbida e nociva, ogni sorriso imbucato, attendono di essere recuperati a una fertilità di scopi, progetti e costruzioni.

Ecco perché dico grazie alla primavera: ci insegna a rispettare tutte le esistenze, anche quelle più inutili e sgangherate; ci insegna che il miracolo non è un trucco, che davvero l’oscurità può tramutarsi in luce, l’abisso in approdo sicuro, la colpa in virtù, l’errore in lezione, la vendetta in perdono, la sfiducia in fiducia, il vuoto in pieno, il nonsenso in senso.

 

Monia Gaita

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