Di Vincenzo Fiore
Luigi Amabile nacque ad Avellino nel 1828, da una famiglia medio borghese, figlio del chirurgo Giuseppe e di Teresa Festa. Amabile diede inizio alla sua formazione in seminario a Nola e successivamente si trasferì giovanissimo a Napoli per intraprendere gli studi di scienze naturali. Seguite le orme del padre, le sue doti di medico brillante non tardarono a palesarsi. Iniziò la sua carriera come chirurgo militare per poi operare dal 1856 nel celebre Complesso degli Incurabili, ospedale fondato nel 1521 dalla religiosa Maria Lorenza Longo, fondatrice dell’ordine delle monache clarisse cappuccine. Qui Amabile poté vedere la farmacia realizzata dall’architetto ed ingegnere Bartolomeo Vecchione e il cosiddetto “pozzo dei pazzi”, struttura nella quale venivano calati i pazienti nei momenti di maggiore agitazione. In questa struttura, Amabile si diede anche all’insegnamento di patologia e clinica chirurgica. Con la dissoluzione del regno borbonico e l’unificazione italiana, Francesco De Sanctis lo chiamò ad insegnare nel collegio medico retto dal patriota e politico Angelo Camillo De Meis. Nel 1862 introdusse l’insegnamento presso l’Università Federico II di Napoli di anatomia patologica, cattedra che abbandonò poco dopo a causa di uno scontro interno all’Università stessa. Fu eletto deputato dal Collegio di Avellino con il Partito Moderato, movimento risorgimentale e riformista che si poneva come alternativa ai democratici e ai mazziniani e che, dopo la morte di Cavour, confluì nella Destra Storica. I suo ideale politico era quello dell’equilibrio, volto ad isolare gli estremismi e i particolarismi regionali. Nel contesto di un’Italia di fatto unita solo politicamente, sposò anch’egli il concetto: “La Monarchia unisce”. Fu deputato per tre legislature, tra il 1864 e il 1882. Nel corso del suo ultimo mandato pronunciò un animato discorso contro l’assetto delle cliniche universitarie nel centro di Napoli, nel quale ipotizzò i danni igienici che sarebbero venuti alla città, la Camera non accolse le sue ragioni ed egli abbandonò la sua carica di deputato. In una lettera del 1864 aveva affermato: “Un deputato non deve stare qui per picchiare alle porte dei ministri, perpetuando un sistema di influenze ed anche di corruzione, da cui un uomo onesto deve rifugiare. Meglio ritornarsene a casa, anziché sciupare se stesso ed il paese a questo modo”. Consapevole dell’analfabetismo diffuso in tutta la Penisola e soprattutto nel Mezzogiorno, la sua attività parlamentare si concentrò in particolare sulla promozione dell’istruzione pubblica. Dopo importanti lavori di anatomia ed istopatologia, pubblicò nel 1896 la sua opera più importante “Le fistole vescico–vaginali e la loro cura”, che gli valse numerosi riconoscimenti e la fama di chirurgo di prim’ordine in tutta Europa. Tuttavia, la sua fama per la quale ancora oggi lo ricordiamo, non è legata soltanto alle sue innovazioni portate nel campo della medicina ma anche per la sua attività di storico, che richiamò addirittura l’attenzione del filosofo Benedetto Croce. Oltre a concentrarsi sullo studio della Napoli medioevale e sul ruolo che ebbe l’Inquisizione nella città partenopea, che lo portò alla pubblicazione di testi come: “Il tumulto napoletano dell’anno 1510 contro la Santa Inquisizione” (1888), egli si avvicinò anche alla filosofia italiana rinascimentale. In particolare, rimase affascinato dal pensiero del filosofo e teologo Tommaso Campanella (1568-1639), noto anche con lo pseudonimo Settimontano Squilla. Quest’ultimo, conosciuto ai più soprattutto per la sua opera “La città del Sole” (1602), nella quale Campanella, ispirandosi anche alla “Repubblica” platonica, teorizzò un tipo di società proto-comunista, dove la proprietà privata era abolita e il potere era in mano ai sacerdoti, a differenza del filosofo ateniese che metteva a capo della “kallipolis” i filosofi. Questo genere filosofico, che si può racchiudere sotto il nome di utopia politica, non era tuttavia una novità campanelliana, infatti, dopo il già citato Platone, c’era stata “L’Utopia” (1516) di Tommaso Moro e venticinque anni dopo “La città del Sole” venne pubblicata postuma “La nuova Atlantide” (opera incompiuta) di Francesco Bacone.Ciò che avvicinò Amabile a Campanella, non fu però tanto il pensiero politico di quest’ultimo, ma le sue vicissitudini biografiche, in particolare egli fu molto interessato dai processi che videro imputato Campanella, avvenuti dopo la pubblicazione de “Philosophia sensibus demonstrata”, che provocò scandalo nel Convento di San Domenico (convento crollato nel 1783), dato l’insolito caso che un frate domenicano come lui, criticasse Aristotele e San Tommaso d’Aquino e si rifacesse al naturalismo di Bernardino Telesio (1509-1588). Nel 1591 Campanella fu arrestato con l’accusa di pratiche demoniache e fino al resto della sua vita ebbe problemi, con nuove congiure e continue accuse, nonostante l’aiuto di Maffeo Barberini, futuro Papa Urbano VII.L’interesse per la filosofia e l’improvvisa vocazione per la storia, portarono Amabile ad abbandonare lentamente la sua professione e grazie alle sue disponibilità economiche, viaggiò per tutta Europa, da Napoli fino a Dublino, alla ricerca di testi utili per i suoi studi. Frutto di questo periodo fu la pubblicazione della prima opera sul filosofo calabrese: “Fra Tommaso Campanella, la sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia” (1882). Delle sue fatiche confluite in quest’ultima pubblicazione disse: “Non servono soltanto ad illustrare la vita di un uomo, ma gittano un vivo sprazzo di luce su tutto quanto un secolo: ed i tempi e le istituzioni del periodo vice regale si comprendono più dalla lettura di questa opera”. Il giudizio degli storici, a lui contemporanei, sul suo operato da ricercatore non fu unanime, c’è chi apprezzò il suo tipo di indagine originale, ma ci fu chi lo accusò di perdersi in minuzie storiografiche senza cogliere il reale sviluppo storico degli eventi. Luigi Amabile morì a Napoli il 25 novembre 1892. Ad Avellino, l’ultracentenario Istituto Tecnico Commerciale è dedicato al suo nome.