Corriere dell'Irpinia

Mussolini prigioniero o confinato: un viaggio verso un altro sé stesso

di Matteo Claudio Zarrella

Nella sera del 27 luglio una automobile prende a bordo Mussolini alla caserma di via Legnano. Con Mussolini è l’Ispettore di polizia Saverio Polito, incaricato da Badoglio a fargli da scorta. Mussolini domanda, perplesso: “Dove stiamo andando? Per raggiungere la Rocca si deve prendere la Flaminia; noi stiamo andando verso l’Appia”. “Verso Sud, è giunto altro ordine, verso Gaeta”, risponde Polito. Alle ore 22 del 27 luglio, l’automobile è a Gaeta. Mussolini viene fatto salire sulla Corvetta Persefone che dal 20 luglio era ormeggiata al pontile Ciano, pronta a partire. Il 20 luglio il Capitano di Corvetta Oreste Tazzari aveva ricevuto -via radio- l’ordine di portare la Persefone, con urgenza, navigando sotto-costa, a Gaeta entro il 25 luglio in attesa di nuovi ordini.

È la Persefone, muta testimone, a svelare l’arcano: l’ordine del giorno Grandi, l’arresto in casa Savoia, il crollo del fascismo: tutto era preparato da tempo.

Sulla Persefone Mussolini ritrova Saverio Polito. Con Polito è l’Ammiraglio Maugeri e il Colonnello Peraghi, al comando di una trentina di carabinieri armati. Al Duce deposto vien dato il titolo di “Eccellenza”. È il titolo conferitogli dal Re nell’anno 1924 del “delitto Matteotti” con il Collare della Santissima Annunziata che gli dava diritto, quale “Cugino del Re”, agli onori militari e alla precedenza protocollare davanti alle Autorità nelle cerimonie ufficiali. In quell’ora, Mussolini si vede “uomo politico finito”.

Alle due di notte, la Persefone naviga clandestina, costa-costa, in direzione delle isole Pontine. Alle 5 di mattina approda a Ventotene, dove il Direttore della colonia penale nega lo sbarco di Mussolini, data la presenza nell’isola di oltre 800 confinati politici, di “comunisti” intenzionati ad aggredirlo. Dopo tre ore di “fermo” la Corvetta riprende la navigazione, in direzione di Ponza.

Il mare di Ponza, uguale a tutto il mare del mondo, senza chiusure di mura a fermare il pensiero, spinge lontano ad un tempo remoto i convulsi avvenimenti dei giorni precedenti.

Comincia per Mussolini il viaggio verso un altro se stesso.

Nelle acque di Ponza, all’apparenza placide, era passata, furiosa, la guerra. Appena pochi giorni prima era stato affondato un piroscafo della linea postale ponzese. Un centinaio i morti: per un piccolo borgo, una falcidia di popolazione. “Pochi giorni prima? Quando?”, chiede Mussolini? il 24 luglio! Proprio il giorno della seduta del gran Consiglio. Da allora era volata la Storia, ritrovandosi Mussolini non più Capo di Stato ma dirottato al confino di Ponza. “Ossessionato”, come confida al diario, “di scorgere da un momento all’altro, all’orizzonte la sagoma di un incrociatore di Sua Maestà britannica”.

28 luglio. Ore 13,00, la Persefone raggiunge Ponza. Dal ponte della Corvetta Mussolini osserva l’isola. Polito gli indica una casetta verdastra che si intravede tra gli alberi dei pescherecci. “Quella sarà la vostra residenza”. La casa, è la “villa del Ras”, detta così perché vi era stato confinato il ras di Etiopia, Immerù.

È la Storia che gli si ritorce contro.

Nella località Santa Maria di Ponza è accolto dal Podestà. Gli vengono incontro anche il medico, il farmacista e il parroco. Presente, una adunata di gente.

Da un osservatorio recondito, un altro confinato, Pietro Nenni, punta un cannocchiale sulla barca che, da una Corvetta, porta a Santa Maria un “civile” e sei carabinieri.

Con il cannocchiale il tempo rallenta e ingrandisce l’evento.

Nenni scopre che quel civile è Mussolini e la Storia indietreggia di trent’anni. Nel 1911 erano stati entrambi incarcerati per aver partecipato a manifestazioni di protesta contro l’avventura coloniale dell’Italia in Libia. Nenni ci scrive: “Scherzi del destino. Trent’anni fa eravamo in carcere assieme (per aver partecipato attivamente all’agitazione proletaria di Forlì contro l’impresa libica), legati da un’amicizia che pareva di dover sfidare il tempo e la tempesta della vita, basata com’era nel comune disprezzo della società borghese e della monarchia. Oggi eccoci entrambi confinati nella stessa isola: io per decisione sua, lui per decisione del Re e delle Camerille di Corte, militari e finanziarie, che si sono servite di lui contro di noi e contro il popolo e che oggi di lui si disfano nella speranza di sopravvivere al crollo del fascismo”.

Mussolini occupa la stanza dove aveva sofferto l’amarezza dell’esilio il Ras d’Etiopia Immerù. Un tavolo di cantina, una sedia sfondata, un letto di ferro, si mostravano come tracce del confinato etiope. Mussolini posa il libro “La vita di Cristo” e la fotografia di Bruno sul tavolo e s’ abbatte sul letto rimasto senza materasso, poggiando il capo sulla giacca arrotolata, adattata a cuscino.

Chiede di incontrarsi col parroco di Ponza, Don Dies, che si mette a disposizione dell’illustre prigioniero avviandolo ad un percorso di conversione. Lo vede malato e sofferente, afflitto dall’ulcera che esige una alimentazione a base di latte e di frutta. Scriverà Don Dies: “Una sola vacca esisteva a Ponza e dava latte, e i diversi avventori che ne beneficiavano, di buon grado rinunziarono alla loro quota rispettiva di quell’alimento, perché seppero dai carabinieri che serviva per il povero paziente di Santa Maria».

Nell’isola di Ponza Mussolini si immerge nella lettura del libro dell’abate Ricciotti: “La vita di Gesù”. Sottolinea i passi dove crede d’esser vicino a Cristo: il tradimento di Giuda, l’abbandono dei discepoli. È la grandezza del Vangelo: non vi è chi non possa ritrovarsi in quelle pagine. Il 5 agosto invia in dono il libro di Ricciotti a Don Luigi Dies, assieme ad una lettera. Don Dies la legge con emozione, attento ad ogni parola: “Molto Reverendo, sabato 7, ricorre il secondo annuale della morte di mio figlio Bruno, caduto nel cielo di Pisa. Vi prego di celebrare una Messa in suffragio della sua anima. Vi accludo mille lire di cui disporrete nel modo più conveniente. Desidero farVi dono del libro di Giuseppe Ricciotti, che ho finito di leggere in questi giorni: La vita di Gesù Cristo. È un libro esaltante che si legge veramente tutto d’un fiato. È un libro dove scienza storica, religione, poesia sono fusi mirabilmente insieme. Coll’opera del Ricciotti, l’Italia raggiunge, forse, un altro primato. Vi mando il mio cordiale saluto. Mussolini”.

Mussolini non ha il tempo di assistere alla messa in memoria di Bruno. Nella notte tra il 6 e il 7 agosto, in previsione di un colpo di mano dei tedeschi, su disposizione di Badoglio, si decide l’allontanamento di Mussolini da Ponza. Una partenza improvvisa. Mussolini, svegliato all’una di notte, è avvertito: “Pericolo in vista”. Mussolini paventa, annota nel diario: “la più grande umiliazione; d’andare in Germania e tentare di riprendere il Governo con l’appoggio tedesco”.

Raccoglie le sue cose per imbarcarsi sul cacciatorpediniere Pantera alla volta della “Maddalena, in Sardegna, dove giunge dopo 12 ore, nella traversata di un mare agitato, nel primo pomeriggio dell’8 agosto. È scortato fino alla Villa ottocentesca “Webber”, rimasta disabitata dal 1928, immersa e isolata in una pineta. Una dimora che come quella di Ponza riflette il senso della solitudine e dell’isolamento del confinato. Spogliata degli arredi, dei tappeti, delle stoviglie e dei soprammobili. Vi trova un lettino in ferro, quasi uguale a quello di Ponza, una poltroncina e sei sedie. In più v’ò uno scrittoio, dove Mussolini mette in custodia il suo diario e la lettera di Badoglio che legge e rilegge, non finendo mai di stupirsi di fronte a quella scrittura ambigua e falsa. A La Maddalena trova conforto nel parroco del luogo. È don Capula. Mussolini gli “apre l’animo depresso”, parlando, “come un fiume in piena che inaspettatamente rompe l’argine”, intimamente di se stesso, dei voltafaccia, del Re, di Badoglio. Don Capula risveglia in lui “una fede sopìta da tempo”. Conclude il suo discorso dicendo: “Mi permetto di parlare francamente: Lei non è stato sempre grande nella fortuna, sia grande nella disgrazia. È da questo che il mondo la giudicherà, da quello che lei sarà a partire da ora”.

Domenica 22 agosto. Don Capula, ottenuta l’autorizzazione del Vescovo e il lasciapassare dell’Ammiraglio Brivonesi, celebra nella villa Webber la messa in suffragio di Bruno. Nella villa don Capula lascia un crocifisso e una “Vita dei Santi”. Mussolini ha finalmente l’animo “distaccato e sereno”. Sabato 28 Mussolini dovrà lasciare Villa Webber. Il viaggio interiore intrapreso nell’esilio di Ponza e di La Maddalena è destinato ad interrompersi nel Fortino del Gran Sasso.

Il 31 agosto, nella nuova “prigione” del Gran Sasso, scrive alla sorella Edvige: “In un’isola ho incominciato, dopo quaranta anni, il mio avvicinamento alla religione. Se ne occupava un parroco di fama ottima. Poi sono partito e la di lui fatica rimase interrotta”. Di quel parroco d’ottima fama gli rimangono impresse le parole: “Lei non è stato sempre grande nella fortuna, sia grande nella disgrazia. È da questo che il mondo la giudicherà, da quello che lei sarà a partire da ora”.

Disarcionato dalla Storia è costretto da Hitler a rientrarvi e rimettersi in sella. Proprio come aveva previsto e temuto.

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