Corriere dell'Irpinia

Nel centenario di Scotellaro, omaggio alla memoria del poeta del popolo

di Mariagiovanna Prudente

Carlo Levi, nel ricordare Rocco Scotellaro, così scriveva: “La vita e l’opera di Rocco Scotellaro sono così un tutto unico, non scindibile né separabile, di tale valore creativo e rivoluzionario, da continuare oggi e domani come una realtà permanente”.

Un altro grande intellettuale, Italo Calvino, gli rende omaggio dicendo: “Tra i giovani nati dal risveglio democratico italiano Rocco Scotellaro è forse quello che è riuscito a fare più cose – organizzatore politico e sindacale, studioso di economia, studioso di cultura popolare e poeta – restando sempre fedele a un nucleo di problemi ben preciso: la situazione sociale del suo paese. Poteva essere il tema di una grande vita: è stato l’avvio di una giovinezza”.

Per Eugenio Montale: “Scotellaro ha potuto lasciarci un centinaio di liriche che rimangono certo tra le più significative del nostro tempo”.

Questi sono solo alcuni degli illustri contributi che, sensibilmente e profondamente, rendono omaggio a Scotellaro, immortale per il suo alto senso morale, per il profuso impegno sociale. Di umile famiglia, dopo i primi studi, all’età di dodici anni, si trasferisce con la famiglia a Sicignano degli Alburni per iscriversi al collegio. Si sposta poi a Cava de’ Tirreni, Matera, Roma, Potenza, Trento e Tivoli, dove porta a compimento il percorso di studi classici. Il 1942 lo vede impegnato in studi giuridici a Roma, non riuscendo però a conseguirne la laurea. Gli viene assegnato un posto di istitutore presso Tivoli ma, conseguentemente alla guerra ed alla morte del padre Vincenzo, avvenuta lo stesso anno, decide di tornare nel suo paese natale. Scotellaro dimostra sin da subito una profonda sensibilità per le delicate condizioni dei contadini meridionali. Questo lo spinge, pur continuando gli studi, verso un’intensa attività sindacale che sfocia nell’iscrizione al Comitato di Liberazione Nazionale, al Partito Socialista Italiano e nella fondazione della sezione tricaricese del suddetto partito. Viene eletto sindaco di Tricarico nel 1946 e, nello stesso anno, incontra per la prima volta Manlio Rossi – Doria e Carlo Levi, indicato dallo stesso Scotellaro quale suo mentore. Tutte le sue opere sono intrise di vita quotidiana, di quella stessa vita contadina alla quale egli appartiene e sente di appartenere per via delle sue origini. Egli ne è orgoglioso e soffre per le vicende difficili e delicate che lo vedono tristemente protagonista. Tuttavia, gran parte degli scritti e delle sue composizioni furono pubblicate postume, anche grazie all’impegno e all’interessamento di Carlo Levi e Manlio Rossi-Doria. Nelle sue produzioni, l’autore manifesta dapprima una forte nostalgia del suo paese, segue poi la guerra. I diversi temi fanno sì che i suoi versi assumano un’ampia connotazione stilistica. Un primo periodo si caratterizza per l’ingenuità e per la leggerezza nella composizione, un secondo rende i versi più aspri, più severi, più critici. A questa fase di sconforto e di negatività, segue l’enfasi del riscatto politico e sociale della civiltà contadina. La lirica cambia ulteriormente genere, diventando incalzante, sferzante, epica, volta a celebrare degnamente l’ingresso nella civiltà del mondo meridionale. Di questi anni:“L’amica di città”, “È fatto giorno”, “Sempre nuova è l’alba”, “Le nenie”. Sempre nuova è l’alba, definita da Carlo Levi, nella prefazione del 1954 a “È fatto giorno”, “Marsigliese del movimento contadino”. Una fetta importante della sua poetica è dedicata ai genitori, in modo particolare al padre, con: “Mio padre”, “Al padre” e “La benedizione del padre”. La figura materna è vista in modo ambivalente in diversi componimenti.

A volte, è la figura comprensiva e compassionevole per la vita che è costretta a vivere, in altre, il tono si fa scostante, denotando un profondo rapporto conflittuale:”A una madre”, “Il grano del sepolcro”. “Ti rubarono a noi come una spiga”, “La luna piena” e “Giovani come te”, assumono connotazione sociologico- letteraria, in cui l’autore fornisce una moltitudine di spunti per un’ accurata analisi circa il modo di vivere e di concepire il mondo – non solo della civiltà contadina, ma anche – dei giovani. La sua è una poesia celebrativa della vita in un’ambientazione pastorale serena, armoniosa, densa di armoniche immagini e vivide visioni che esaltano la dimensione bucolica. Sulla base di queste premesse, possiamo suddividere la sua attività poetica di Scotellaro, alias il poeta – contadino – in tre fasi.

Una prima, quella ‘’giovanile’’, dal 1940 – 45, quella successiva, dal 1946 – 50, che implica una sofferta, ma consapevole, presa di coscienza di sé, delle sue origini e della profonda sofferenza e povertà in cui versava il Meridione; un’ultima, la terza appunto, che va da 1950 al 1953. In questa fase, egli ha modo di prendere contezza circa il nuovo rapporto con un mondo che, evolvendosi, diventa troppo grande, troppo complesso. La poetica di Scotellaro si distingue per uno stile meno musicale, meno legato alla forma, ma vario, all’interno del quale egli diviene sempre più realistico nel raccontare la sofferenza del suo paese. Attraverso versi rudi e ritmati, egli descrive un Meridione distaccato dal resto della società: i contadini versano in delicate e precarie condizioni sociali ed economiche che acuiscono ulteriormente il divario col mondo civile. Scotellaro è il poeta dei poveri, degli umili, degli ultimi. Soprattutto grazie alle sue semplici origini, egli guarda con occhio mite, attento e sensibile ad un mondo, quello contadino, che pare essere dimenticato, accantonato. Si fa testimone di una necessità impellente di aiuto e cambiamento. Una solidarietà che deve spingere gli uomini ad aiutarsi l’un l’altro. Le tragiche vicende umane che lo vedono come protagonista gli regalano tuttavia una espressività poetica mirabile, superba, al dir poco unica.

E’ stato in grado di fondere i temi della politica con i valori auspicabili di rieducazione per una società più giusta, dalla parte dei deboli. Quelli di Scotellaro non solo valori vivi e fervidi frutto di una vita intensa spesa a realizzarli, ma una vera e propria concezione rivoluzionaria sul piano sociale, morale ed etico, che dovrebbero essere la colonna portante di una società equa e giusta. Coraggiosamente, egli difende le sue idee. Brama un miglioramento dell’istruzione, soprattutto quella contadina, come lotta all’analfabetismo: manifesto di democrazia, oltre che di vittoria e di riscatto sociale. Grazie alla Riforma Agraria del Sud, dalla quale egli ne è promotore, si adopera efficacemente per contrastare non solo le inesistenti condizioni igienico-sanitarie della civiltà contadina, ma anche condizioni di grave indigenza di ogni genere.

La sua prosa è manifesto inequivocabile di questa lotta. Lotta alla sopravvivenza di e per un mondo, quello contadino, che pare essere dimenticato. Egli ribadisce con forza ideali di libertà, di giustizia, di democrazia e di riscatto. La sua poesia è voce per gli umili e degli umili. Appassionato, orgoglioso, amante della sua terra, egli ha sofferto vivamente per le sue condizioni, usando ogni mezzo – sociale, politico, letterario – per aiutarla. La lirica, nel descrivere tutto questo, assume una dimensione bucolica, pastorale, agreste. Perfettamente in linea con il tema. L’ambientazione diventa così rappresentazione di un mondo fantastico e realistico al tempo stesso, pur esaltando vita e vecchi valori.

La lirica del riscatto sociale – centrale nel pensiero del poeta – per la complessità del tema, è portata ad un livello più alto, quasi epico. Poeta, scrittore e politico italiano impegnato nella lotta per il miglioramento delle condizioni economiche e sociali dei contadini, Scotellaro ci regala non solo produzioni di prosa, ma anche racconti ed opere teatrali. Tutte accomunate da una profonda analisi sociologica ove si alternano sapientemente profonde emozioni ed intelligenti soluzioni. L’ improvvisa morte, avvenuta il 15 dicembre 1953 a Portici, non ferma in noi l’immanenza del suo ricordo. Un uomo del sud che ha lottato, scritto, combattuto ed amato, con tutto sé stesso, la sua terra, rendendole omaggio con la sua stessa vita, con il suo profuso impegno. In occasione del suo centenario, onoriamolo anche attraverso una rilettura delle sue opere. Rendiamo alto il suo ricordo seguitando ad amare la nostra verde Irpinia.

La mia bella Patria, del 1949:

La mia bella Patria

Io sono un filo d’erba

un filo d’erba che trema

E la mia Patria è dove l’erba trema.

Un alito può trapiantare

il mio seme lontano.

Rocco Scotellaro

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