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Nello studio di Clericuzio Domenico Tulimiero, il sergente che si oppose ai nazifascisti

Furono circa seicentocinquantamila i soldati, sottoufficiali e ufficiali appartenenti al Regio Esercito Italiano che riuscirono a trovare la forza di rifiutare l’adesione al Terzo Reich e alla Repubblica Sociale, malgrado fossero stati abbandonati al loro destino dai vertici militari dopo l’8 settembre 1943. Furono inviati nei campi di prigionia dove dovettero fare i conti con stenti, privazioni e lavoro coatto in fabbriche. Il loro status fu trasformato da quello di prigionieri di guerra in quello di internati militari, così da essere svincolati da ogni convenzione o trattato internazionale. Una forma di resistenza a lungo dimenticata, rimasta ai margini della storiografia resistenziale, di cui si continua a parlare poco. Un silenzio contrastato solo dalle associazioni di combattenti ed ex internati che cominciarono a raccogliere testimonianze, fonti, documenti. A ricostruire la storia di uno di questi soldati coraggiosi, sergente maggiore marconista e telegrafista, è lo storico Carmine Clericuzio in “La guerra, l’internamento, il diario. Domenico Tulimiero”, Delta 3.  Un volume, che si affianca ai precedenti studi dedicati agli antifascisti Giuseppe Persiani e a Ottorino Rizzo. Una storia a cui Clericuzio aveva gà dedicato un prezioso articolo dal titolo “Prigioniero dei nazisti, il diario di Tulimiero”, pubblicato nell’inserto culturale del Quotidiano del Sud.
Nato ad Avellino nel 1910,  Tulimiero sarà catturato dai tedeschi l’8 settembre 1943 mentre si trova nella cittadina francese di Grasse con la IV Annata Truppe Occupazione. Resterà prigioniero per più di un anno e mezzo nei lager del Terzo Reich, rientrando il 9 maggio 1945 a Imperia, città nella quale si era trasferito nel 1936 e dove risiedeva la propria famiglia. A restituire la durezza della prigionia, l’angoscia del trascorrere inesorabile dei giorni, le paure per la propria sorte, quella della famiglia e del paese è il suo diario, con annotazioni quasi giornaliere, documento prezioso per comprender le condizioni di vita nei lager: “In quelle pagine – scrive Carmine Clericuzio – dove i richiami  all’affetto familiare e alla mancanza dei propri cari rappresentano l’irrinunciabile filo conduttore che riannoda il racconto di quei giorni, è evidente anche lo scoramento dei soldati italiani per essere stati gettati in una insensata guerra e poi abbandonati al loro destino ma allo stesso tempo è vivo l’orgoglio di aver scelto una propria libertà, anche se racchiusa tra i reticolati del filo spinato, invece di diventare inanimate pedine delle folli aspirazioni belliche di due dittatori ossessionati da un paranoico potere di conquista”.

Un lavoro di ricerca, quello di Clericuzio, partito dalla scoperta di una scheda biografica del Tulimiero sul sito dell’Anpi e del diario della prigionia pubblicato dall’Istituto storico della Resistenza di Imperia, a cui si affiancheranno il ritrovamento del ruolo matricolare  custodito all’Archivio di Stato e l’incontro con la nipote Lucia e Giorgio, il primogenito di Domenico Tulimiero, che cura la prefazione.

Anche Domenico è tra i tantissimi giovani che si iscrive alla Milizia, corpo militare composto da volontari, infiammato dalle speranze alimentate dal fascismo di realizzare il proprio futuro di vita attraverso la carriera militare. Il primo ottobre 1931, come militare di leva, è a Napoli, nel primo reggimento Radiotelegrafisti, il 20 luglio 1935 è nell’ottavo reggimento Genio e inviato in Eritrea con il Secondo Battaglione Trasmissioni Mobilitato, tanto da essere insignito della medaglia commemorativa delle operazioni militari in Africa orientale.  Il 3 giugno 1940 viene richiamato in servizio presso il Genio Marconisti e dopo un periodo di congedo torna al fronte il 10  gennaio 1941, inviato al  secondo Reggimento Genio con sede a Casale Monferrato, in provincia di Alessandria. E’ quindi nella 139° Compagnia Radiotelegrafisti, schierata lungo il confine con la Francia, per essere poi aggregato al primo Reggimento genio. Dal primo gennaio 1943 è sergente, sempre in Francia con la quarta Armata Truppe Occupazione con il compito di presidiare la zona del delfinato, la Provenza e la Savoia. Il primo aprile del 1943  viene nominato capo marconista del Comando Genio del primo corpo d’armata.

Tutto cambia dopo l’armistizio, quando viene offerta ai militari italiani catturati dopo l’8 settembre la possibilità di arruolarsi nelle SS o nella Wehrmacht o di combattere  in un esercito fascista. Ma le adesioni sono poche rispetto alle aspettative, se è vero che 50.000 unità combatteranno per il Reich o per la Rsi, 60.000 diventeranno lavoratori ausiliari delle forze armate tedesche ma in 650.000 decideranno di affrontare le conseguenze della prigionia.

L’arresto di Domenico avviene subito dopo l’armistizio con l’irruzione dei nazisti nei reparti degli italiani. Domenico sarà assegnato al campo di concentramento di Velsen, per essere liberato il 19 marzo del 1945 dalle truppe americane

Tante le immagini che scorrono nelle pagine del diario, come quelle dei duemila italiani ammassati nella caserma Kellerman per essere trasferiti in Germania poco distante da Limburg o ancora prima al campo di Ludwighafen e poi alla volta di quello di Saarbruken. Nessuna assistenza sanitaria, nessuna possibilità di mettersi in contatto con i familiari, se non in un secondo momento quando potrà finalmente scrivere alla moglie, bisogna fare i conti con fatica, violenza, freddo e fame. Le porzioni di cibo sono razionate “Si mangia sempre la stessa brodaglia e con un’avidità incredibile ma alla fine dei pasti si ha più fame di prima, non riuscendo in tal modo che a stuzzicarci l’appetito”. Un rancio che si affianca al mezzo mestolo di cavolo con patate bollite con i prigionieri sempre più denutriti, reclutati dai tedeschi per i loro scopi bellici, picchiati e minacciati mentre si intensificano i raid aerei degli alleati “Su di un camion siamo portati a sgomberare macerie di stabili semidiroccati a seguito di bombardamenti aerei. Il lavoro e abbastanza duro e umiliante ma ognuno di noi deve rassegnarsi a questo genere di vita”.

Continuo il pensiero della moglie Celeste e dei figli, unico conforto nel dolore. Giornate sempre uguali scandite dal lavoro, che non prevede pause o giorni di festa, e in serata da quell’attività chiamata “Radio-Scarpa, lo scambio di notizie, cioè vere o non vere, che ognuno di noi ha raccolto come meglio ha potuto durante la giornata, soprattutto dal contatto con i prigionieri francesi” mentre cresce la solidarietà tra i detenuti nel campo. Tulimiero si sofferma anche sulla visita di un emissario del Partito Fascista che vorrebbe convincerli a tornare in Italia a combattere “Sono venuto nella determinazione di seguire il destino che ha procurato la mia prigionia. Non sono ragioni politiche  bensì una grande preoccupazione, un doloroso timore di dovermi trovare a combattere contro la gente della mia terra, contro gli stessi miei due fratelli”.

Non ha dubbi Tulimiero: “ritengo più accettabile questo grande sacrificio che il dovermi rammaricare, in futuro, di avere seguito il proprio egoismo”. Anche se non nasconde l’amarezza per il comportamento dei commilitoni che sono scesi a compromessi con i nazisti o sono arrivati a rubare i pochi averi dai bagagli dei prigionieri mentre cresce l’ansia per le sorti della guerra e la speranza che i nazisti siano sconfitti.

Poi la svolta, comincia l’offensiva alleata e ci si mette in marcia, tra il fuoco incrociato di chi attacca e  chi difende. Rimettere piede sul suolo italiano appare un sogno. “Il 9 maggio 1945 – scrive il figlio Giorgio Tulimiero – il nostro amato Papà riabbraccia felice e riconoscente alla Provvidenza la sua famiglia”. E’ Margherita Faia a sottolineare la valenza etica di un libro come quello di Clericuzio “in una realtà storica segnata da una certa decadenza culturale, che si evidenzia a più livelli e che contribuisce al tentativo poco etico si stravolgere la storia della lotta al nazifascismo attraverso continui pseudo dibattiti revisionisti, pericolosi e tossici, un’esistenza come quella del sergente maggiore marconista e telegrafista Domenico Tulimiero è proprio quel tassello che dal passato si fa tessera del mosaico di un presente stratificato, da interpretare, embrione nel grembo di una realtà artificiale…che però non può scindersi dalla mano dell’uomo, dai suoi logos e psyche”

 

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