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Non la solita divisione

 

Quanto sta succedendo nel Partito democratico non può essere etichettato con la solita divisione della sinistra o con lo spirito di rivincita della minoranza contro Renzi, l’usurpatore rottamatore. Il convegno della sinistra dem della settimana scorsa a Perugia prova che la frattura è molto profonda e investe il modo stesso di intendere la sinistra, i suoi valori, il concetto stesso di riformismo, quello che sta alla base della formazione del PD che Renzi sta vistosamente trasformando in altra cosa. Un partito liquido (come direbbe Baumann), attestato sulla figura del suoi leader, ambiguamente centrista, capace di allearsi con forze di centro destra (Alfano/Verdini) su un programma di riforme di stampo liberista ( Jobs Act, riforma della scuola; fisco – aumento del contante- politica energetica anti regionalistica – astensione al referendum sulle trivelle in contrasto sette governatori pd che lo hanno promosso; politica a favore delle banche e, molto più grave, stravolgimento della Costituzione in senso di lesione del fondamento liberale montesquiniano dell’equilibrio dei poteri, con la prevalenza del potere esecutivo ed il rafforzamento della figura del Premier sugli altri poteri dello Stato compresi gli organi di garanzia costituzionale. Il tutto che fa il paio con una discutibile ed infausta legge elettorale imposta dal governo – che dovrebbe essere parte terza- a colpi di fiducia e di manovre spregiudicate ad un Parlamento inopinatamente assuefacente. Non sono cose da poco e, con tutte le critiche che si possono fare a Bersani ed alla minoranza sugli errori degli ultimi anni, (dal Governo Monti alla campagna elettorale ed al modo sterile di fare opposizione), non si può non convenire che la posta in gioco è talmente alta ed investe lo stesso modo di concepire la democrazia come equilibrio di interessi e di poteri, che il modo di fare opposizione, dentro o fuori il partito, dovrà assumere caratteri eccezionali. Ne sono consapevoli tutti e lo stesso Renzi, che non è uno sprovveduto, tira la corda senza far nulla per trattenere l’opposizione nel partito obbligandola ad adeguarsi – lui che ha dato inizio alla rivolta pubblica contro le decisioni della maggioranza (vedi il mancato voto a Marini alla Presidenza della Repubblica, l’impallinamento di Prodi ed il siluramento di Letta) pensando di portare direttamente al giudizio degli elettori il nuovo partito, giocoforza della nazione, e la sua leadership. Potrebbe addirittura voler precorrere i tempi, stante la scarsa crescita dell’economia (meno della metà della Germania e della Francis) e il fallimento delle cosiddette “riforme” che si stanno dimostrando un flop (vedi, da ultimo, quanto sta succedendo nella nostra AS, dopo i tornelli di Brunetta, e le nuove norme della Madia, con lo spettacolo miserando, dopo quello recente di Sanremo, dei furbetti dei cartellini!). Ad appena due anni dal siluramento di Letta in nome di un cambiamento e di riforme epocali, come se tutti i giovani deputati e senatori, in gran parte saltati sul carro del vincitore con un costume di laido trasformismo che ha contagiato anche giovani deputati irpini e campani eletti in conto della sinistra del partito non fossero stati portati in Parlamento da Bersani, che sconta la colpa di un ottuso veto del M5S e di un comportamento, poco “notarile” del Presidente Napolitano che, di fatto hanno riaccreditato la destra, con la sola eccezione di Verdini e suoi accoliti al posto di Berlusconi, stimatore di Renzi ed oppositore del Governo! Le posizioni sul modo di fare opposizioni sono sostanzialmente due: quella di D’Alema che sostiene debba essere totale e radicale: non si può aiutare Renzi a discapito di essere fatti fuori dal partito; occorre snidarlo sulla rettifica della legge elettorale e sul referendum, schierandosi pubblicamente per il no e stare alla finestra alle prossime amministrative, o favorendo, dove è possibile, liste alternative di sinistra. Cofferati, Fassina, D’Attorre, che la pensano come lui, lo hanno già preceduto uscendosene dal partito. Bersani ed il resto della sinistra ritengono, invece, che la battaglia vada fatta dentro il partito, anche se non ne indicano le modalità e l’intensità. Vedremo nei prossimi mesi la piega che prenderanno gli avvenimenti. E’ certo, però, che la sinistra deve cambiare passo e deve richiamarsi, gridandoli alti e forti, ai valori fondativi del PD che sono quelli, ancora per poco se passa il Referendum, della Costituzione vigente. Molti ex elettori hanno già deciso.
edito dal Quotidiano del Sud

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