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Oltre le crisi i presupposti per lo sviluppo

Ha ragione Emilio De Vizia, da qualche settimana alla guida della Confindustria regionale: “Le aree interne sono una risorsa per l’intera Campania perché possono avere, con una politica intelligente, il ruolo di equilibrio tra l’area metropolitana della fascia costiera e il ripopolamento dei territori desertificati della regione interna”. In sintesi, la parola d’ordine è “decongestionare”. Certo, la riflessione del presidente della Confindustria campana non è nuova. Se ne parla dal 1970 sin dalla nascita delle Regioni. Nicola Mancino, allora primo governatore, sostenne, con forza e determinazione la necessità di delocalizzare alcuni presidi industriali, situati nella affollata area metropolitana, nelle aree interne che già allora andavano spopolandosi. Fu una dura lotta contro Antonio Gava, re di Napoli, che si oppose alla visione di Mancino. Qualche anno dopo, fu il sindaco di Ariano irpino, Domenico Covotta, eccellente amministratore e fine politico, a porre il problema dello sviluppo delle aree interne, sollecitando tutti, nel corso di un appassionato convegno sul Tricolle, a sostenere la tesi della creazione di infrastrutture per rompere l’isolamento e avviare un colloquio positivo di sviluppo per l’Alta Irpinia. Infine, ma non certo ultimo, si è registrato un notevole impegno delle diocesi della Campania che denunciano il fenomeno della desertificazione dei Comuni interni. I vescovi, che hanno chiamato in causa finanche il Papa, Mattarella e il presidente della Cei Zuppi, stanno portando avanti, con notevole passione, la battaglia per fermare l’emigrazione e ricreare le ragioni della speranza soprattutto per i giovani.

In realtà il problema dello spopolamento è da oltre mezzo secolo all’ordine del giorno. Recentemente è stato affrontato anche nel corso di un interessante convegno svoltosi a Lacedonia, organizzato dal Centro di studi meridionalistici “Nicola Vella”: sul tavolo la proposta che, in caso di emergenza per il capriccioso Vesuvio o dei Campi Flegrei così attivi, le aree interne potrebbero avere un ruolo di accoglienza delle popolazioni arrampicate sui vulcani napoletani. Personalmente ricordo una sera d’estate a Bisaccia. In un noto ristorante dove Salverino De Vito, non ancora ministro per il Mezzogiorno, con una matita mezza spuntata tracciava, su un foglio di carta blu – di quelli che servivano a contenere i famosi biscotti di Castellammare – una linea di sviluppo che univa il Tirreno con l’Adriatico. Quel sogno in parte si è realizzato con il tratto Contursi-Caianello, ma purtroppo insiste un pezzo di strada, la Lioni-Grottaminarda, che da oltre mezzo secolo è opera incompiuta e su cui ci sarebbe molto da dire. Storicizzata, sia pure in sintesi, la “questione zone interne”, arriviamo all’oggi, quando si materializza grazie al finanziamento del Polo logistico dell’Ufita. Occasione storica tanto che non appena il progetto è stato finanziato, tutti, ma proprio tutti, se ne sono intestati il successo. Di questo agreement sono pieni i santuari delle promesse. Del progetto e del ruolo che il Polo avrà per le aree interne ne scriviamo nelle pagine a seguire con un servizio-inchiesta. Qui ci preme sottolineare che questa che si presenta sul quadrante della storia meridionale, regionale e irpina è una occasione da non perdere, come è accaduto per la Lioni-Grottaminarda. La classe dirigente si dia una mossa. Apra un dialogo con i soggetti interessati, forze politiche, sindacati e amministratori, e dimostri con i fatti che le speranze di sviluppo non sono virtuali, rappresentano, invece, la fine della drammatica perdita di identità di una antica cultura che nel passato, superando la stanca lamentazione e il perverso assistenzialismo, ha costruito un laboratorio di passione civile il cui valore è stato troppo presto dimenticato. Avrebbe detto Guido Dorso: “Ruit hora”. E’ giunta l’ora di impegnarsi per una grande causa, riscrivendo pagine nuove per questo meraviglioso territorio.

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