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Premio Corbi a Quaglietta, vince Marini

La poesia come dimensione onirica, ma anche quale strumento per scandagliare il reale, nelle sue molteplici sfumature e problematicità. Questo è il filo rosso che anima l’edizione targata 2018, del premio nazionale don Giuseppe Corbi, il tema scelto è la solitudine, intesa soprattutto nella sua dimensione di disagio esistenziale ed emarginazione sociale, tema che è stato accolto ed analizzato dai numerosi poeti che hanno partecipato al concorso. Intenso il saluto del vescovo Pasquale Cascio che ha voluto ricordare come la solitudine sia anche una dimensione interiore, uno scendere misterioso nell’anima, per conoscere se stessi e Dio, oltre alla fase, dolorosissima, della solitudine estrema, come quella di Cristo sulla croce, che grida il suo ultimo appello al Padre. Ad aggiudicarsi il primo posto, nell’agone poetico, lo scrittore Francesco Antonio Marini, con un componimento scritto in dialetto pugliese, dal titolo “Maria”. Poesia dal forte impatto emotivo, quadro lucido di un intenso disagio esistenziale. «Maria non è malata, ma ha un forte dolore nel petto. La malattia che hanno tutti coloro che restano soli. Maria non distingue più ciò che è amaro da ciò che è dolce». Secondo posto, alla scrittrice Mariarosaria Del Guercio, con “Giungemmo da sofferte solitudini”, poesia di raffinata delicatezza, nella sua dolorosa essenza. Come recita l’incipit poetico: “Giungemmo da sofferte solitudini, nei verdi deserti di antichi passi/ e come angeli spauriti dispiegammo ali di seta, nel silenzio di sacre rupi”. Terza classificata, la saggista e scrittrice Agostina Spagnuolo con “Invisibili”, dove la solitudine si contrappone all’insensatezza del mondo, con la sua giostra delle vanità. Così scrive: «Hai soffermato gli occhi sulle albe e sui tramonti, sulla linea dove le nuvole vanno a riposare… Il brulichio del mondo è un formicaio impazzito, distante». Come ha affermato Nino D’Alessandro, presidente dell’associazione: «la solitudine diventa non solo malattia dell’animo, ma anche del corpo, fiacca le membra, annebbia la vista, diventa l’inverno del cuore».
(Vera Mocella)

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