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Quel 7 settembre 1613, Carlo Gesualdo e i segni del cielo

Michele Zarrella

Ieri sera, 7 settembre 2024, uno sparuto gruppo di gesualdiani si è recato nel castello di Gesualdo per vedere lo stesso tramonto che forse ha visto Carlo Gesualdo nel suo ultimo giorno di vita, il 7 settembre 1613. Ieri sera, a 411 anni dalla morte del Principe, il Sole è tramontato alle 19.16 in una abbagliante foschia che non permetteva di vedere bene l’orizzonte e il profilo delle montagne.  Questa è la foto scattata da Francesco Aufiero alle 19.14.44. Il piccolo disco solare è appena visibile. 

Nella lettera del 13 settembre 1613 Leonora scrive al fratello Cesare: […] mi trovo senza la compagnia del Signor Principe mio, il quale spirò alli otto del corrente la sera al tardi, et andò a godere la celeste patria, lasciando la terrena. […] (tratta dal libro Carlo Gesualdo i segni dell’uomo, i segni dei tempi, i segni del cielo).

Per Leonora, e per tutti quelli del suo tempo, la data cambiava dopo il tramonto del Sole. E precisamente al suono dell’avemaria, cioè circa mezz’ora dopo il tramonto per le nostre latitudini. Pertanto l’espressione “la sera al tardi”, escludendo la prima ora, probabilmente poteva indicare la seconda, ma più probabilmente la terza ora dopo l’avemaria. Meno probabile che indicasse la quarta e ancor meno probabile che indicasse la quinta. Comunque sia, è ragionevole pensare che indicasse un’ora precedente alla sesta iniziata alle ore 23:40. Se è così, allora, secondo il modo odierno di computare il tempo, era il 7 settembre. Ed è questa la data da usare per descrivere il cielo. Quella sera, la sera del 7 settembre 1613, il Sole, a Gesualdo, tramontò alle ore 18:10 (dal sito http://www.etwright.org/astro/plani.html). Il cielo, chiaro e celeste allo zenit, degradando verso l’orizzonte, sfumava in tantissime tonalità, una vicina all’altra, che si trapassano e interferiscono insensibilmente l’una sull’altra, transitando dal blu al verde poi al giallo, e successivamente all’arancio fino al rosso infuocato e in mezzo c’è tutta la scala. Progressivamente, in circa 30 minuti, il cielo dal blu passò all’ìndaco e infine al violetto sempre più scuro, completando tutto lo spettro della luce solare fino a che divenne nero trapunto di stelle.

La luce è un’onda elettromagnetica che si propaga nello spazio, ad una velocità costante universale di quasi 300.000 km/s nel vuoto, e i colori sono apparenze: sono i nomi che abbiamo dato noi ad alcune specifiche frequenze dell’onda elettromagnetica con diverse lunghezze d’onda: nell’intervallo del visibile quelle più corte le abbiamo nominate violetto, quelle più lunghe rosso.

Alle 18:40, suonò l’avemaria che, a quel tempo, come già detto, annunciava il cambio della data, e quindi per Leonora è l’8 settembre. Parallelamente nel cielo della musica, la sera del 7 settembre 1613, in una mescolanza di sfumature musicali, tramontava anche il grande compositore. Vide il panorama per l’ultima volta. Ammirò il tramonto del Sole e quelle tantissime tonalità di colori, con zone di luce chiara, ventagli immensi di celeste, verde, giallo, arancione e scarlatto? Colori, cioè frequenze di onde elettromagnetiche, che, per la loro bellezza, mise in parallelo alle frequenze delle onde sonore delle sue note? Pensò che, anche se il suo corpo stava effondendo gli ultimi respiri, la sua musica sarebbe rimasta immortale e si sarebbe rinnovata nei secoli come quel tramonto? Per vincere quel silenzio di morte fece cantare musica sacra nel castello? Volle ascoltare ancora una volta le Sacræ Cantiones, il Benedictus Dominus Deus Israel, il Miserere mei Deus, i Responsoria? Musica, ancora una volta, per l’ultima volta, musica, l’eccelsa arte che lo consegnava all’immortalità?

È il 7 settembre 1613. Il giorno abbraccia la sera mentre il Sole scivola dietro l’orizzonte fra il massiccio del Partenio e quello del Taburno illuminando con luce radente le poche nuvole definendone colori e contorni. Il corpo fiacco del Principe è steso sfinito sul letto e gli ultimi raggi del Sole riverberano l’immagine di una vita unica e irripetibile. Un soffio d’aria entra nel camerino e assume l’odore brusco del tempo che passa. Sarà soffio di morte.

Quella sera per strade asperrime, per sentieri oscuri e vie tortuose, il Principe dei musici continuò il suo viaggio fino a raggiungere l’ultima meta, lacerato dagli stenti e dai pensieri, pregando e cantando fra sé musica sacra. Il suo corpo, stremato, chiede il ristoro del sonno eterno, ma lo tengono sveglio, ancora per poco, la preghiera e quell’atonia intestinale che gli torce le viscere. Tramontava il Sole della musica.

Nel crepuscolo serale si approssima al suo capezzale la grande pacificatrice che mette fine a tutto: la Signora con la falce, la più grande paura di qualunque essere umano. Ora che gli è vicina, il Principe, che l’ha sempre temuta, la fissa nella sua spossatezza pacato e quasi riconoscente. Guardando il panorama di Gesualdo per l’ultima volta vide i cinque pianeti allineati nella costellazione della Vergine?

Alla quarta ora e mezza (le ore 22:10), sorgeva la Luna. Era mezza Luna calante – gobba a levante. Gli annunciava il calare della sua vita? La vide e “gli sembrò più dolce anche la morte”, riprendendo le parole di Lucio Dalla della canzone Caruso? Certamente non arrivò a vedere l’alba, ma non morì del tutto. Si spegneva il grande compositore la sera al tardi di una giornata d’estate, ma non morì la sua arte. Quella sera la sua anima, in risonanza con le frequenze delle note delle sue eccelse composizioni, lascia il corpo per volare in cielo a godere in eterno la pace e il perdono tanto desiderati.

Al dolore di Leonora, dei parenti e della servitù si unisce quello del cielo.  A Gesualdo, 41°00’Nord 15°04’Est, alle ore 18:06’:47” il cielo del 7 settembre 1613 presenta una situazione molto suggestiva e rara: il Sole, nella costellazione del Leone, volge al tramonto e cinque pianeti, tutti nella costellazione della Vergine, lo seguono. Ancora una volta, per l’ultima volta nella vita di Carlo, un segno del cielo: una spettacolare manifestazione celeste. In un tramonto luminoso, maculato da morbide nuvole bianche e rosa, stagliate contro un cielo celeste, che si fa sempre più blu scuro e che, nel contempo, si va punteggiando di brillanti e luminose stelle, annunciando la notte e il buio, guidati inesorabilmente dalle precise meccaniche cosmiche, cinque pianeti – Nettuno, Venere, Giove, Marte e Mercurio – tutti allineati nella costellazione della Vergine, cinque lagrime lucenti, in 47 minuti dal tramonto del Sole, rigando la volta celeste, come una brillante melodia celestiale in un pentagramma a cielo aperto, quasi un atonale madrigale a cinque luci – e non a cinque voci! – della durata di tre quarti d’ora, scendono sotto l’orizzonte, congedando la straordinaria vita del grande compositore Carlo Gesualdo. Con lui, su Gesualdo e sul mondo, scesero la musica e il silenzio. 

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