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Quelle lucerne africane in mostra al Museo irpino 

Il Museo Irpino di Avellino conserva un gruppo di 22 lucerne fittili, provenienti da donazioni, scavo (1) e rinvenimenti casuali che per le loro peculiari caratteristiche rientrano nel tipo Dressel 312. Tali lucerne vengono denominate africane o cristiane (3), secondo una terminologia tradizionale non sempre rispondente ad obiettivi criteri di carattere generale, ma basata, invece, su aspetti particolari, presenti soltanto su alcuni esemplari, come nel gruppo del Museo Irpino. Il termine di lucerne africane sembra il più giustificato (4), poiché il luogo originario di produzione è considerato l’Africa Proconsolare e la Bizacena (5) e, secondo altri, Alessandria d’Egitto per la presenza di numerose matrici dello stesso tipo (6). La genericità del termine, però, esclude la produzione del tipo in altre zone del mondo romano (7) e la diffusione di fabbriche locali ed autonome con prodotti dello stesso tipo e con gli stessi elementi decorativi anche nel bacino orientale del Mediterraneo, come la Grecia (8) e la Siria (9). Tuttavia, se si tiene presente che a Taranto sono state individuate matrici del tipo Pohl 1 A con decorazione a doppia palmetta sulla spalla (10), e se si considera che il tipo a canale è una derivazione dalle Firmalampen, che a Ordona vengono fabbricate fino al IV sec. d. C. (11), anche l’Italia, pertanto, dovrebbe essere inclusa tra i luoghi in cui venivano prodotte lucerne africane. Inadeguato (12) e alquanto ambiguo risulta il termine di lucerne cristiane, perché simboli cristiani non sempre risultano nel repertorio decorativo degli esemplari considerati tali, compresi nel tipo Dressel 31; il lupo, il leone, l’orso ed altri animali, certamente non rientrano nella simbologia cristiana, ma compaiono anche sul vasellame più fine, coevo alle lucerne, in scene più complesse, come, anche, i motivi geometrici, vegetali, umani e specificamente cristiani (13). Se, contrariamente, con tale terminologia si vogliono distinguere tutte le lucerne prodotte successivamente al, riconoscimento ufficiale del cristianesimo come religione di Stato (editto di Milano, 313 d.C.), in questo contesto e da questo periodo debbono includersi anche le lucerne diverse dal tipo Dressel 31, come, ad esempio, quelle derivanti dalle lucerne a disco con simboli cristiani. La cronologia del tipo Dressel 31 non è stata giammai considerata in senso assoluto; come termine iniziale di produzione è stato posto il IV sec. d.C. con una continuità fino al VI-VII d.C. La fase cronologica iniziale è avvalorata dal fatto che lucerne di questo tipo non sono mai associabili a strutture o ad altri materiali del III secolo, per cui, il IV sec. d.C., come inizio di produzione, risulta generalmente il più accreditabile, mentre difficile è stabilire il periodo in cui il tipo cadde in disuso. Un tentativo di classificazione generale è dovuto alla Graziani Abbaini e allo Hayes. La prima si basa sulla classificazione adottata dal Pohl e distingue quattro tipi principali con varianti che si differenziano soltanto per una diversità di forme, senza un criterio cronologico. Il secondo, invece, ha proposto una classificazione tipologica con valore anche cronologico, suddividendo il gruppo in due tipi essenziali con altrettanti sottotipi, in base all’evoluzione delle forme ed ai rapporti con la produzione della ceramica coeva di fabbriche del Nord Africa. Le lucerne in esame del Museo Irpino che rientrano, come sopra accennato, nel tipo 31 del Dressel, vengono distinte in due gruppi tipologicamente diversi. II primo, (tipo Pohl 1-Hayes II A e B) comprende le lucerne di forma ovoidale con serbatoio troncoconico a parete lievemente convessa su base ad anello rilevato da cui parte una costolatura che si proietta sotto l’ansa. L’ansa è piena, verticale, puntata obliquamente e liscia in superficie; la spalla è orizzontale con banda tra due bordi e reca una decorazione varia ed elaborata; il disco è leggermente concavo con due infundibula disposti orizzontalmente, (eccetto il n. 4 del catalogo, che li ha a scalino), ed è collegato al foro dello stoppino da un lungo canale; alcune recano al centro della base due cerchietti concentrici incisi che sono una caratterizzazione della maggior parte delle lucerne, prodotte da grandi officine, come timbro di fabbrica (19). Gli altri esemplari, (nn. 3, 4, 8, 9, 11, 12, 13, 14 cat.) in argilla grossolana non depurata o poco depurata, dal piedino privo dei due cerchietti concentrici alla base, sono di produzione locale Il repertorio decorativo sulla spalla di questo primo gruppo è reso ln composizioni che comprendono fiori, grappoli d’uva, patere, foglie cuoriformi, chevrons, ferri di cavallo, lepre, pesce, quadrati campiti di cubetti, cuspide di lancia, elementi, questi, che ricorrono sulla ceramica coeva, ottenuti con gli stessi punzoni. Meno elaborata e più semplice è la decorazione sul disco sul quale compaiono un episodio del Vecchio Testamento con gli esploratori di Canaan (n. 1 cat.), felini, pesci, animali acquatici, palmizi, l’ariete, chrismon e Croce monogrammatica che, parzialmente, occupano anche il canale e, qualche volta, sono associati con un elemento decorativo che ricorre sulla spalla (n. 9 cat.). Le lucerne cd. africane o cristiane sono sempre prive di firme e anche le nostre in esame non si discostano dalla norma. La cronologia di questo primo gruppo, secondo la proposta dello Hayes, è del V-VI sec. d.C.; il tipo di VI sec. si differenzia per l’argilla più grossolana. Il secondo gruppo è formato da otto lucerne eterogenee, considerate di transizione, probabilmente di origini diverse Gli esemplari relativi ai nn. 15, 16, 17, 18, 19, 20, riconducibili al tipo Pohl 2 e 3 – Hayes 1, si caratterizzano per l’ansa piena o forata con o senza incisione verticale; base più o meno incavata contraddistinta da un cerchio ad incisione o da un anello appiattito con apertura fin sotto l’ansa, tanto da formare una decorazione; disco a breve canale rettilineo con uno o due infundibula, talvolta separato dal canale da un motivo decorativo a rilievo (n. 15 cat.) e spalla di norma inclinata verso l’esterno. Alcune volte al centro della base si trova un segno o una lettera a rilievo (n. 15 cat.), interpretati come segno di fabbrica. Gli esemplari relativi ai nn. 21, 22, invece, hanno la spalla piatta e la base ad anello, priva di apertura, per cui risultano molto vicini ai nn. 1-14 del primo gruppo, ma se ne allontanano per la decorazione, la brevità del canale, la forma un po’ allungata. La decorazione del secondo gruppo, rispetto a quella del primo, si presenta sommaria e trascurata, priva di fantasia. Sulla spalla i motivi ricorrenti sono costituiti da archetti intercalati da globetti, patere, lingue, foglie stilizzate, raggi, motivo a palma. Sul disco compaiono due colombe affrontate, pesci, chrismon, leone in corsa, fiore a larghi petali. Nel complesso, si tratta di prodotti scadenti, che si possono considerare fabbricati da modeste officine con una diffusione alquanto limitata; essi sono anteriori al primo gruppo e vanno ascritti, in riferimento alla cronologia dello Hayes, al IV-inizi V sec. d.C. Note bibliografiche 1) Le lucerne da scavo (nn. 7, 8, 9, 14 cat.) provengono dall’area urbana di Aeclanum -Cfr. O. Onorato, La Ricerca Archeologica in Irpinia, p.28 Amministrazione Provinciale Avellino 1960 – non sappiamo se da strato archeologico databile, poiché manca la relazione di tutto lo scavo; il loro valore, quindi, insieme al resto del gruppo, è soltanto di carattere tipologico. 2) E. DRESSEL, Inscriptiones Urbis Romae Latine. Instrumentum Domesticum, Partis posteris, fasciculus primus, Corpus Inscriptionum Latinarum, XV,2, Berolini, apud G. Reimerum 1899, pp. 782-784. 3) Libertini (p.283) adotta il termine cristiane, così anche Abbaini (pp.7-9); Bruneau (Delos XXVI, pp.117-118), Menzel (p.90), Mercando (p.20) e Szentleleky (p.127) usano il termine africane; Pohl (p.219) le chiama mediterranee; Hanoune (p.247), lampes tardives à canal; Delplace (Ordona IV, p. 82), Joly (p.44), Michelucci (p.63), Gualandi (p.211), riscontrano l’incompletezza delle definizioni. 4) M. C. Gualandi Genito, Lucerne fittili delle collezioni del Museo Civico Archeologico di Bologna. “Cataloghi 3”. lstituto per la Storia di Bologna, Bologna 1977. (p.211). 5) E. Joly, Lucerne del Museo di Sabratha, “Monografie di Archeologia Libica” XI L’ “Erma”, Roma 1974. (p.44). 6) Szentleleky Ancient Lampes, Amsterdam-Budapest 1969. (p.127). Tale teoria che considera anche Alessandria come importante centro di produzione, non ha avuto seguito tra gli studiosi, Cfr. Joly (p.44, nota 6); Menzel (p.90). 7) Gualandi, op. cit, (p.211). 8) Perlzweig, Lamps of the Roman Period. The Athenian Agora, VII. Princeton 1961, (pp.64-65). 9)Waage, Antioch-on the Orontes, Vol. III. Princeton 1941 . (p.67). 10) C. D’Angela, «Figulorum nomina » su lucerne romane nei musei di Taranto e Bari, in «Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti», XLV, 1972-73 (1974), p.195. 11) Mertens, Ordona, IV, Rapport et Etudes (CH. Delplace, Presentation de l’ensemble des Lampes decouvertes de 1962 à 1971 ), Bruxelles-Rome 1974 p.70) 12) Joly, (p. 44), considera inadeguato il termine “paleocristiane”, perché se è vero che per la prima volta sono rappresentati simboli cristiani, non sempre presenti, rileva anche che la produzione di queste lucerne continua fino ad epoca tarda (oltre il VI sec.d.C.) 13) Hayes, Late Roman Pottery, A catalogue of Roman fine Wares, London 1972.(pp. 228-281).

Di Consalvo Grella pubblicato il 11/02/2014 sul Quotidiano del Sud

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