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Reddito tra luci e ombre

A sei mesi dall’entrata in vigore, i primi risultati del Reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia del M5S, non sono sufficientemente positivi. Lo stesso Premier Conte, che aveva rilasciato il provvedimento nel precedente governo giallo verde, dice che bisogna migliorarlo perché non sia una misura meramente assistenziale e aggiunge che deve tendere a riqualificare i lavoratori e avviarli al lavoro. La qual cosa, almeno finora, non è stata neanche tentata, e si rivela problematica e altamente improbabile perché sostanzialmente il lavoro non c’è e prima di cercarlo, bisogna crearlo. Perfino i 471 navigator della Campano -previsti per aiutarne la ricerca – e che hanno superato la prova non vengono assunti per il rifiuto del governatore De Luca che non vuole accollarsene la spesa!

Secondo i dati forniti dall’INPS, a metà settembre sarebbero state accolte nr.960.007 domande che interesserebbero 2.348.423 persone, mentre ne risulterebbero ancora in istruttoria altre 90.812. Ne sarebbero state respinte nr.409.644. Di Maio aveva previsto un numero di beneficiari di otre 4 milioni di “cittadini” e pertanto un finanziamento (a debito!) per il 2019 del quale superano 2 miliardi. Ma non è tutto. Delle domande accolte il 21% degli aventi diritto riceve un importo inferiore o pari a 200 euro e solo il 4% superiore a 1000 euro. La massa (46,8%) riceve un importo tra i 400 e gli 800 euro.

Su questa legge i grillini hanno insistito molto facendone la loro bandiera, fino a manifestare dai balconi di palazzo Chigi l’esultanza al grido di “In Italia abbiamo finalmente sconfitto la povertà”, nella considerazione che fossero sufficienti leggi come queste (o come il decreto dignità o la riduzione del numero dei parlamentare) a cambiare il volto dell’Italia, a creare lavoro e a fare sviluppo. La legge istitutiva del reddito di cittadinanza è, infatti, fin troppo enfatica nella sua formulazione edittale come se bastassero i proclami (il testo somiglia ad un proclama!) a cambiare le cose. Recita testualmente: “E’ istituito a decorrere dal mese di aprile 2019 il reddito di cittadinanza … quale misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, nonché diretto a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro.”

Come se fosse possibile attraverso una legge e non con politiche e strategie complesse, lunghe nel tempo e concorrenti, aiutare a cercare lavoro, che non c’è, senza prima crearlo.  Come se bastassero i navigator a fare il miracolo consultando i PC che tutti possiedono e sanno usare. Una legge che, finora, non ha trovato un solo posto di lavoro, che non può avvalersi di strutture che non ha e, soprattutto, perché il lavoro si crea con politiche diverse, complesse, di investimenti e con provvedimenti estemporanei, populistici e raffazzonati. Meglio sarebbe stato implementare con risorse adeguate il reddito di inclusione che stava dando buoni risultati.

Ma non è tutto. La lega ci ha messo del proprio, discriminando cinicamente ed ingiustificatamente anche quegli stranieri residenti in Italia da oltre dieci anni, con regolare permesso di soggiorno, obbligandoli a produrre una certificazione di non aver beni nei paesi di provenienza (molti dei quali non sono in grado di fare!) autenticata dai consolati. Con la conseguenza che molti di loro che percepivano il sussidio di inclusione, lo hanno perduto proprio da questo mese.  L’effetto Salvini si fa ancora sentire e il nuovo governo non dovrebbe perdere tempo nell’abolire questa norma iniqua insieme con i decreti sicurezza, più propriamente vergogna e, anzi, ad approvare la legge sulla cittadinanza (ius soli, o meglio, culturae) anche per vedere se i 5stelle hanno voglia di cambiare veramente.

di Nino Lanzetta

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