Con la collocazione in zona arancione della regione Campania, gli affollamenti assurdi in alcune vie di Napoli, la riapertura a singhiozzo delle scuole, ripropongono l’urgenza di maggiore rigore nel rispetto delle regole di prevenzione contro il covid19. E’ sotto gli occhi di tutti che, almeno negli ultimi due mesi, tali norme sono state solo parzialmente rispettate anche perché, probabilmente, la crisi di governo e la sua conclusione, hanno distratto l’opinione pubblica dalla emergenza pandemica. A questo dato si somma il forte bisogno dei giovani, e non solo di essi, di ripristinare i consueti momenti ricreativi e relazionali, interrotti da un anno. Ritornare, quindi, ad un metro di distanza. “Stai lontano da me almeno un metro di distanza”. Questa espressione, fino ad un anno fa, esprimeva il fastidio verso l’altro, quasi una forma di disprezzo. Attualmente, è bene sottolinearlo, lo stare ad un metro di distanza “esprime invece l’attenzione verso l’altro, il prendersi cura di lui, volere che stia bene” Con questa intelligente e persuasiva espressione, durante l’omelia domenicale , nella Chiesa ove abitualmente partecipo alla celebrazione eucaristica durante la fase due della pandemia , un sacerdote irpino ha lanciato un messaggio di grande ed efficace sapore civile e sociale. Da questo tracciato di pedagogia pastorale di forte caratura umana e spirituale scaturisce una domanda: le limitazioni della sfera relazionale delle persone è solo una imposizione esterna o risponde ad una interiore esigenza di responsabilità? Nel periodo della clausura e delle limitazioni degli spostamenti, la regola appariva immediatamente giustificata perché il pericolo che si avvertiva nell’aria ci veniva anche propinato dalle immagini dei media. In quel periodo la regola era sostenuta dalla paura. A tal proposito è stato detto che gli italiani, dal comportamento encomiabile, hanno confermato il convincimento diffuso che essi si dimostrano disciplinati solo a causa della paura. C’è anzi chi, come Hans Jonas, nel suo libro “Il principio responsabilità”, parla del valore “euristico” della paura. E’ appunto sulla virtu’ civile della responsabilità verso gli altri che alimenta la consapevolezza che non è un sistema di divieti e di sanzioni che riesce a sostenere il valore delle regole. E’ questo valore che rende una regola veramente vincolante, incondizionatamente vincolante , fuori da ogni costruzione esterna e oltre ogni prospettiva meramente tattica o funzionale. E’ questo sforzo che la scuola, la famiglia, la parrocchia, i canali di comunicazione, chiunque in questo particolare momento riesce a relazionarsi con gli altri, bisogna compiere con pazienza e perseveranza per rendere lieve e responsabile la costrizione attuale. Bisogna anche trasmettere il messaggio fecondo che la norma non è mai un fatto meramente esteriore. La sua forza è nel coinvolgimento interiore, nella condivisione diffusa e nel riconoscimento del valore che la norma stessa esprime. Sul valore e l’efficacia della norma hanno scritto non pochi filosofi, giuristi e pedagogisti, ma è sulla sua necessaria metabolizzazione che si delinea una profonda tensione morale che è anche rinvio al più complesso mondo interiore delle motivazioni da cui la norma è scaturita. Nell’alveo sempre vivo del mondo interiore di ciascuno e della comunità intera risiede anche, a mio modestissimo avviso, la consapevolezza profonda che, dopo la pandemia, nulla sarà come prima. Speriamo solo che sia un mondo migliore.
di Gerardo Salvatore