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Riscoprire la cultura dell’Appennino

L’Italia é un Paese lungo. E il crescente divario tra Nord e Sud ha l’effetto divaricante di allungare ulteriormente le distanze di quelle che sono due aree storicamente antitetiche, polarizzate, di una nazione oggi profondamente lacerata.

A tenere legato un Paese divaricato, che si sviluppa in lunghezza, é rimasta soltanto la sua catena montuosa che si distende in verticale, percorrendo tutta l’Italia.

Un Paese che contrariamente alla percezione tradizionale, che vede una divisione tra Nord, Centro e Sud, é tagliato in senso longitudinale dagli Appennini.

Questo sguardo, che “taglia” diversamente la realtá del Paese, fa scorgere un’Italia tirrenica, un’italia adriatica, e “in mezzo” un’italia appenninica.

In un Paese lungo come l’Italia ci voleva una catena per tenerlo insieme. Una catena di monti che non limita, ma apre l’orizzonte, che non costringe a guardare in una sola direzione, ma allarga lo sguardo.

L’Appennino, con la sua catena montuosa lunga 1300 chilometri, é la spina dorsale di un Paese “de-caduto”. Con la sua identitá plurale, la sua civiltá, le sue “storie”, con i borghi solitari che si aggrappano alla collina, o girano attorno ad una cattedrale, ad una rocca, ad un torrione, la dorsale appenninica si candida, nonostante la decadenza demografica, lo smottamento del suo territorio, a tenere in piedi una nazione barcollante, che ha perso l’orientamento, che a volte siamo costretti a vedere prostrata, in ginocchio.

I territori dell’Appennino, come scrive Raffaele Nigro, sono “quelle terre che possono aiutare i figli di una società metropolitana sconquassata a ritrovare la pace con se stessi e il senso perduto della vita”.

Territori, questi, a cui spesso si associa la denominazione di aree interne. Un’espressione geografica anonima, che dice tutto e non racconta niente. Territori percepiti come marginali, ma che rappresentano una parte ampia del Paese, assai diversificata, e un paesaggio irripetibile, dove ancora esiste uno spazio e un tempo per la contemplazione, dove la “metafisica” ha trovato il suo luogo d’elezione.

Attraverso i corrugamenti delle sue montagne, le tracce lasciate dal tempo, il lirismo del suo paesaggio, l’Appennino racconta un’epica che resiste, anche se non risparmiata del tutto dai segni pervasivi della modernizzazione.

Riavviare una connessione, nel frattempo interrotta, con la cultura “inclusiva” dell’Appennino puó rivelarsi un tentativo non trascurabile per guardare da una prospettiva diversa ad un’Italia “in verticale”, e non piú in orizzontale. Con uno sguardo obliquo.

In attesa della riproposizione di una riflessione nuova e aggiornata, invocata da tanti ma sollecitata da pochi, che ricollochi al suo posto la centralitá strategica del Mezzogiorno, con i mutevoli cambiamenti che oggi interrogano Europa e Mediterraneo, c’é una via d’uscita che va al di lá degli steccati divisivi di un Paese contrapposto, e che puó trovare nella sua spina dorsale la coesione necessaria per rialzarsi.

Se da un versante, per un Paese circondato dal mare non dovrebbe essere difficile ritrovare la rotta della propria storia, cercando una possibile chiave di lettura del presente tra le pieghe del passato; dall’altro, non si dovrebbe perseverare nel commettere l’errore capitale di voltare le spalle alle montagne.

L’Appennino é una terra di mezzo, in questa caratterizzazione orografica é da ricercare una funzione unificante.

Giuseppe Lupo, scrittore e intellettuale di origini lucane, ci viene incontro suggerendo una chiave interpretativa utile ad aprire un dibattito che da qui in avanti deve far scatutire un nuovo atteggiamento, al’insegna di un’Italia che si riconosca nei suoi Appennini, e non gli volti per l’ennesima volta le spalle.

“Se da sempre la sponda di Levante guarda ad Est, all’Oriente della nascita delle civiltà, la sponda di Ponente, invece, guarda all’Occidente, alle terre dell’utopia. Ma le due sponde, quella adriatica e quella tirrenica, condividono lo stesso mare, il Mediterraneo, che accomuna i popoli che si bagnano sulle sue rive. Di questa geografia l’Appennino è lo spartiacque e, mentre divide le due sponde, le unisce nel medesimo territorio”.

di Emilio De Lorenzo edito dal Quotidiano del Sud

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