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Scenari per il 2016 nell’incertezza

 

Dopo il traballante 2015, che secondo il Caro Leader di Palazzo Chigi ha addirittura segnato una svolta di cui però non si è accorto nessuno, anche il 2016 rischia di essere così così. Sarà gravato dalle ripercussioni delle scadenze politiche. A cominciare da quelle che catalizzano tutta l’attenzione dei partiti: elezioni amministrative e referendum sulla riforma istituzionale. Il berluschino, intanto, ha fiutato l’aria non proprio favorevole. E non passa giorno che non precisi che le elezioni amministrative servono ad eleggere i sindaci, non il governo. Precisazione ovvia, che nasconde (male!) il timore delle conseguenze politiche del voto amministrativo. Per il premier le cose non appaiono semplici. A Roma, dopo Mafia Capitale, i sondaggi sono impietosi per il Pd, che arranca anche nella ricerca di candidature forti. Infatti tutti i big declinano cortesemente. E i Cinquestelle incalzano. A Milano non sarà facile il cammino alle primarie, con altri candidati veri, del manager e neorenziano Sala (un tempo vicino al centro-destra), osteggiato dall’apparato pd e da SeL. A Napoli, la conferma della discesa in campo di Bassolino ha provocato un fuggi fuggi di candidati. E l’assenza di un leader riconosciuto rischia di trasformare le primarie in un O.K.Corral. E questo per limitarci alle città maggiori.
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Sul referendum il premier ha affermato: "Se perdo, considero fallita la mia esperienza in politica". Una drammatizzazione assolutamente ingiustificata. Non deve difendere alcun suo progetto minacciato, visto che la riforma istituzionale non è stata il frutto di alcuna sua visione organica. E insieme alla riforma del sistema elettorale ha partorito un ibrido. Un sistema nominalmente parlamentare, ma piegato alla necessità di garantire, con una maggioranza drogata, l’elezione di un governo forte. La scelta del berluschino appare anche inopportuna, per le persistenti difficoltà economiche e la scarsa attenzione dell’elettorato verso questi temi. Perfino il mite e quasi inutile Bersani ha detto di far fatica "a pensare che gli italiani percepiscano la riforma del Senato come l’appuntamento epocale". Dopo l’affronto del suo superamento da parte del cinquestelle Di Maio in un recente sondaggio sul gradimento e vista la mancata crescita dei suoi consensi, il premier ha scelto lo showdown. Il referendum sarà un plebiscito sul governo e su di lui. Con la novità assoluta che le sorti di un esecutivo si giocheranno su una materia di tradizionale competenza del Parlamento, cioè le regole del gioco. Quelle che interessano tutti. Durante la seconda repubblica, invece, ogni schieramento ha voluto farsele da solo, anzichè ricercare le convergenze necessarie per giungere a regole condivise.
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L’altra nube che si addensa su di noi è la tendenza del berluschino a spendere e spandere per favorire clientele elettorali. Senza alcuna visione dello sviluppo del Paese. E’ un pericoloso inventore di piccole mance, che però hanno già sottratto preziosi miliardi di euro ad impieghi più utili e produttivi. Il rottamatore di ieri si è trasformato nel dominus oggi preoccupato di distribuire a tutti qualcosina e di non disturbare nessuno. Rispetto a lui, anche Andreotti sarebbe oggi apparso come uno spericolato innovatore! Ricordate l’impressionante rapporto sul Sud presentato dalla Svimez solo pochi mesi fa? Non se ne parla più. Il fantomatico masterplan è diventato solo una fra le tante promesse non mantenute dal governo! E i solitamente loquacissimi parlamentari e consiglieri regionali Pd campani e del Mezzogiorno non hanno nulla da dire? Nei giorni scorsi, poi, gli impietosi dati Eurostat ci hanno mostrato un’Italia che – a differenza di altri Paesi – arranca. Insomma, molto diversa dal roseo quadretto nord-coreano che il Caro Leader dipinge quotidianamente. E c’è lo spauracchio di una manovra correttiva. Il berluschino ha dato per scontato che la Commissione europea conceda gli attesi margini di flessibilità. Però il Corriere della Sera ha rivelato che gli alti funzionari europei incaricati di valutare la legge di stabilità hanno scritto, in un rapporto, che la terza economia dell’area euro è in pieno declino. Con questa aria, si può disinvoltamente dare per scontato il sì di Bruxelles e pensare di drammatizzare la situazione politica interna con uno scontro sul referendum?
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Insomma, se non è laRepubblica delle giovani marmotte, secondo la scultorea definizione di Pomicino-Geronimo, poco di manca. Nell’incertezza sul da farsi, si naviga a vista. Si tampona qua e là. E invece, mai come oggi, l’azione parlamentare e di governo avrebbe bisogno di progetti. Di prospettive. Che probabilmente, anche e soprattutto in quest’anno elettorale, continueranno a mancare.

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