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Scuole di Serie A e di Serie B

Di Franco Festa

C’è anche un altro campionato in città. E’ una disfida scolastica, tra i licei e gli istituti tecnici e professionali. Un amico tornato dal Nord, che lavora in un istituto comprensivo, mi ha confidato che in una classe, alla fine del ciclo delle medie, un solo alunno si è iscritto al liceo classico, tutti gli altri o si sono indirizzati direttamente al mercato del lavoro o hanno scelto gli istituti che avrebbero favorito loro una dignitosa occupazione. Un altro mondo, direte. Probabile, anzi certo. E non vogliamo qui approfondire l’analisi di un paese spaccato in due, una divisione che l’autonomia differenziale sancirà per legge. E’ altro il senso di questa piccola riflessione. Nella mentalità comune della città, almeno di quella parte che fa opinione – l’altra, la più vasta, costretta ogni giorno a rincorrere il modo per far quadrare i conti o per sopravvivere, non ha il tempo di partecipare a questo dibattitoi licei sono le scuole di serie A, i tecnici e i professionali quelli di serie B o di serie C. E’ una vulgata che continua e persiste, e che trova speso nell’informazione l’eco più forte. Ogni banale iniziativa di un liceo è fatta risaltare come un risultato storico, ogni loro progetto culturale, anche il più inutile e ozioso, viene sbandierato come un fulgente successo. Poche o nessuna parola sul lavoro prezioso che si svolge altrove. Eppure questo “altrove” è spesso una miniera pregiata, all’avanguardia. Prendiamo un esempio qualunque, l’istituto tecnico tecnologico “Guido Dorso”, che vanta competenze e attrezzature  straordinarie nel campo non solo dell’elettronica e dell’elettrotecnica, ma anche in quello delle biotecnologie sanitarie, dell’informatica e delle telecomunicazioni, della meccanica e dell’energia, dei trasporti e della logistica. E non sono naturalmente tralasciati l’Italiano, l’Inglese, la matematica. Una scuola immersa nel futuro, insomma, un patrimonio di cultura e di conoscenza che consente di progettare ciò che saremo. E non abbiamo parlato dell’Istituto agrario e della facoltà di Enologia ad essa collegata, assolute eccellenze, o dei tanti altri istituti tecnici e professionali, di eccelsa qualità, che in città hanno riaperto i battenti in questi giorni. Eppure, nella coscienza diffusa, le scuole importanti sono le altre, i licei. Non si tratta, allora, di sovvertire classifiche, ma di vincere piccole mediocri visioni, spesso infarcite di intolleranza verso i ragazzi che frequentano quelle scuole “di serie B”. Un meschino punto di vista che è invece solo il segno della feroce divisione, in città, tra centro e periferie, tra la città stessa e la sua provincia. Non è mai troppo tardi per capire che non esistono scuole migliori o peggiori: esiste la scuola pubblica , che, nelle sue diverse articolazioni, è in grado di fornire ad ogni ragazzo gli strumenti per una scelta più vicina alle proprie esigenze, ai propri sogni. Il resto, tutto, il resto, al di là delle fiere annuali di presentazione, veri mercati delle pezze che dovrebbero aiutare gli studenti e invece li disorientano, è solo un problema di disponibilità economiche o di piccineria mentale, l’inguaribile malattia di tanti avellinesi.

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