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Settembre caldo

E’ una particolarità tutta italiana quella di caricare di significato epocale appuntamenti elettorali di per sé ordinari e destinati a modificare in minima parte gli assetti istituzionali per lo più locali o al massimo regionali, Spesso sono i giornali ad enfatizzare alcune scadenze minori, nella speranza che l’attesa e il clamore si trasformino in copie vendute, obiettivo non sempre raggiunto; ma questa volta sono stati in molti a darsi da fase, alcuni anche inconsapevolmente, per trasformare la ripresa delle attività, politiche e non solo, di inizio settembre in una resa dei conti generale e definitiva, come se da essa dipendessero la stabilità dei vertici dei principali partiti, la sopravvivenza del governo, addirittura la prosecuzione della legislatura. E’ probabile che nulla di tutto ciò avvenga a breve, ma è indubbio che un perverso concorso di volontà abbia fatto sì che nel calendario del prossimo mese, che è quello che vede da sempre il governo impegnato a predisporre il bilancio dello Stato, venissero iscritte anche la data di lunedì 14, riapertura delle scuole dopo sei mesi di blocco, e quelle del 20 e 21, elezioni in sette regioni e un migliaio di Comuni, nonché referendum confermativo del taglio di un terzo dei deputati e senatori. Ne è risultato un rincorrersi di impegni nel quale sarà difficile orientarsi per studenti, docenti e famiglie che aspettano con apprensione il primo suono della campanella che coincide con un riacutizzarsi, per fortuna finora contenuto, del contagio da Covid-19 con tutti i problemi legati al trasporto, alla presenza nelle classi ed alle modalità d’insegnamento, aggravati dal fatto che in molte scuole le attività riprenderanno già martedì prossimo per i corsi di recupero. In tutte o quasi, poi, dopo una settimana ci sarà il fermo dovuto all’insediamento dei seggi elettorali, che è solo il primo paradosso di una stagione che inizia a singhiozzo. Il secondo paradosso sarà l’abbina – mento delle elezioni amministrative con il referendum, che comporterà uno squilibrio dell’affluenza alle urne fra regione e regione e probabilmente un calo di attenzione verso il quesito referendario che riduce fortemente la rappresentanza parlamentare. La più che probabile vittoria del “sì”premierà i Cinque Stelle oscurandone l’altrettanto certa sconfitta amministrativa, e metterà in imbarazzo il Pd e il suo segretario, accusato di andare a rimorchio dell’ingombrante alleato. Ma più grave sarà ancora una volta l’uso strumentale del referendum e della Costituzione a fini di bassa politica: si dice di voler combattere la casta mentre si penalizza la democrazia. Se ne vedranno presto le conseguenze. La storia insegna che in questa materia si verifica una diabolica eterogenesi dei fini, come fu nel caso dell’abolizione delle preferenze plurime, decisa anch’essa per referendum con l’obiettivo di colpire il mercato del volto clientelare fiorente soprattutto in alcune regioni italiane, e presto trasformatasi in potente tonico delle segreterie regionali e nazionali dei partiti a danno degli elettori privati della facoltà di scegliere i propri rappresentanti. Non a caso dall’abolizione delle preferenze, all’inizio degli anni novanta, si data la fine della prima repubblica che oggi molti (anche fra coloro che l’avevano combattuta) rimpiangono, e l’inizio della seconda, non altrettanto celebrata (della terza è meglio non parlare…)

di Guido Bossa

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