di Stefano Carluccio
Negli ultimi dieci anni l’Irpinia ha vissuto una delle più intense emorragie giovanili della sua storia recente. I numeri parlano chiaro: in dieci anni la provincia di Avellino ha perso circa 17.800 under 35. Il calo non è solo demografico ma culturale, economico e identitario. A lasciare l’Irpinia non sono più soltanto i giovani laureati con ambizioni internazionali, ma anche diplomati e ragazzi con qualifiche tecniche che un tempo avrebbero potuto immaginare un futuro nei confini della loro terra. Oggi, invece, cercare altrove sembra diventata l’unica strada per costruire una vita autonoma e stabile.
Le destinazioni più scelte si collocano su due fronti: il Nord Italia e l’Europa. Milano e la Lombardia restano le mete più battute, attirando giovani irpini che cercano lavoro in ambito tecnico, informatico, commerciale o amministrativo. L’Emilia-Romagna rappresenta un altro polo fortissimo, in particolare Bologna, Modena e Reggio Emilia, dove il tessuto produttivo e la dinamicità economica offrono percorsi professionali difficilmente replicabili nelle aree interne del Sud. Anche il Piemonte, soprattutto Torino, continua a esercitare un richiamo notevole, grazie a un buon equilibrio tra costo della vita, università, servizi e possibilità lavorative.
Accanto alle migrazioni interne, cresce in modo costante anche l’emigrazione all’estero. Germania, Svizzera, Francia e Spagna sono tra le destinazioni più frequenti, spesso perché offrono retribuzioni più alte, percorsi lavorativi chiari e sistemi di welfare in grado di sostenere i giovani nella fase di ingresso nel mercato del lavoro. Non mancano coloro che scelgono Regno Unito, Irlanda o addirittura Canada e Australia, mete che attraggono soprattutto under 30 con buona conoscenza dell’inglese e una forte motivazione a costruire carriere internazionali.
Le ragioni di questo esodo sono molteplici. Una delle principali è la scarsità di opportunità lavorative nel territorio. L’Irpinia, pur dotata di potenzialità industriali e di eccellenze in alcuni comparti, non riesce a garantire un tessuto economico sufficiente a sostenere le esigenze di una generazione che cerca stabilità e prospettive di crescita. Il precariato, la debolezza del mercato del lavoro e la difficoltà di accesso a contratti a tempo indeterminato spingono molti giovani a guardare altrove già durante o subito dopo gli studi universitari.
Anche la qualità dei servizi e delle infrastrutture gioca un ruolo decisivo. I collegamenti insufficienti, la mancanza di trasporti adeguati, la difficoltà nell’accesso a servizi culturali e formativi di livello paragonabile a quelli delle grandi città contribuiscono a creare un senso di isolamento che pesa soprattutto sulle generazioni più giovani. Chi resta spesso vive una sensazione di immobilità, aggravata dallo spopolamento progressivo che svuota i paesi e riduce ulteriormente le opportunità di socialità e crescita personale.
Sul piano economico, la fuga dei giovani rappresenta una perdita difficile da colmare. I talenti che partono portano con sé competenze, energia, visione e capacità innovativa. E quando il capitale umano si indebolisce, anche il tessuto produttivo locale fatica a rinnovarsi. Non è un caso che molte imprese irpine denuncino oggi difficoltà nel reperire personale qualificato: paradossalmente, mentre l’Irpinia perde giovani, le aziende cercano profili che non riescono più a trovare. È il segno di un sistema che non riesce a trattenere le risorse che forma.
L’esodo ha conseguenze anche sociali. Le comunità perdono i loro protagonisti più dinamici, i borghi si svuotano, le scuole diventano sempre più piccole, i servizi vengono ridotti o accorpati. Ogni giovane che parte è una storia che si interrompe per il territorio: un potenziale imprenditore, insegnante, tecnico, professionista che avrebbe potuto contribuire allo sviluppo della sua terra. E quasi sempre il legame affettivo resta forte, ma non sufficiente a compensare la mancanza di prospettive.
Eppure, nonostante questo quadro, l’Irpinia non è una terra rassegnata. Gli ultimi anni hanno visto nascere iniziative imprenditoriali innovative, start-up legate al digitale, al turismo esperienziale, all’agroalimentare di qualità. Alcuni giovani, dopo un periodo fuori, scelgono di tornare per avviare attività proprie o inserire competenze acquisite in contesti internazionali. Sono segnali importanti, ma ancora troppo deboli per invertire la rotta.
Ciò che serve è una strategia chiara: infrastrutture moderne, politiche per il lavoro realmente efficaci, incentivi per le imprese che assumono giovani sul territorio, sostegno all’imprenditorialità giovanile e alla formazione di competenze avanzate. Serve soprattutto la volontà di immaginare un futuro che renda l’Irpinia non solo un luogo da amare, ma anche un luogo dove poter costruire una vita.
Oggi l’Irpinia guarda ai suoi giovani che vivono a Milano, Torino, Vienna o Zurigo e si chiede: torneranno? La risposta dipende anche dalle scelte che verranno fatte adesso. Perché non basta raccontare la fuga: serve costruire le condizioni per il ritorno, o almeno per fermare l’emorragia.



