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Tempo di bilanci

Di Guido Bossa

L’orizzonte che si apre davanti al governo Meloni alla ripresa dell’attività politica è piuttosto roseo ma non privo di incognite. Fra poche settimane, il 25 settembre, cade il primo anniversario della vittoria elettorale e, come ha dichiarato un anonimo ministro, Fratelli d’Italia si appresta a celebrarlo con ottimistico entusiasmo; ma il calendario offrirà alla presidente del Consiglio anche l’occasione per tracciare un bilancio e lanciare la campagna elettorale per le europee. E qui potrebbe nascondersi qualche contrarietà. Se infatti sul piano interno l’esecutivo può stare tranquillo – le opposizioni sono divise e la navigazione parlamentare non presenta ostacoli – qualche nuvola si addensa nei rapporti con l’Europa, che costituiscono ormai non solo per l’Italia una dimensione fondamentale della politica, tanto da poter pregiudicare anche la sopravvivenza di un governo (si veda la crisi del Berlusconi quater nel 2011). Ci sono in ballo la ridefinizione del “patto di stabilità”, cioè delle regole di bilancio sospese negli anni della pandemia e che oggi i paesi più “virtuosi” vorrebbe ripristinare con criteri di rigore difficilmente sostenibili per l’Italia, l’implementazione del Pnrr che vede il ministro Fitto impegnato in un difficile confronto con la Commissione, l’accettazione del Mes, che ci ostiniamo a rinviare, un riposizionamento di FdI nella geografia del prossimo Europarlamento che consenta a quello che è – e resterà – il maggior partito italiano di avere un ruolo nella costituzione dell’esecutivo che nascerà dopo il voto del giugno prossimo. Dunque, le questioni aperte non sono poche e il percorso dei prossimi mesi potrebbe celare qualche insidia. Non è un caso se nel primo anno di vita del suo governo Giorgia Meloni si sia adoperata soprattutto per accreditarsi come un partner affidabile in Europa e oltre Atlantico, ostentando un’assoluta fedeltà alla Nato e tentando in ogni modo di dimostrare che il bagaglio nazionalista e sovranista, parte integrante fino a ieri della cultura di opposizione della destra italiana, guardato con sospetto dagli alleati di oggi, non è più rivendicato ora che quella stessa destra si è insediata a palazzo Chigi. Quasi sollecitando un definitivo riconoscimento della nuova postura “responsabile”, il ministro Lollobrigida, cognato della premier, ha sbrigativamente definito Fratelli d’Italia “partito centrale”, “architrave” della coalizione; e del resto la buona accoglienza alla Casa Bianca alla fine di luglio, la partecipazione ai vertici europei e ultimamente anche il prestigioso endorsement incassato da Nancy Pelosi, icona dei democratici americani, hanno finora consentito a Giorgia Meloni di misurare i successi ottenuti sul piano della credibilità internazionale. Ma ora, proprio alla vigilia del primo vero appuntamento elettorale, potrebbe venire il difficile. Nonostante l’ottimismo di facciata, il futuro potrebbe essere condizionato dalla brusca frenata del Pil che ha costretto i ministri economici a rivedere al ribasso le previsioni di crescita, dal calo dei consumi dovuto anche alla perdita del reddito di cittadinanza per decine di migliaia di famiglie in difficoltà, dalle fosche previsioni sui costi crescenti di misure populiste quali il superbonus edilizio. Tutte incognite da mettere nel conto, in un bilancio politico che è ancora da tracciare.

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